Mauro Suttora
Pannella, i segreti di un istrione
(ed. Liber, Milano, 1993)
La storia di Marco Pannella fino al 1993, quando lancia l'idea del Partito Democratico

Capitolo 1 - 1930 - 1945
IL BASTARDO PRODIGIO

"Sono un bastardo. Mio padre era un abruzzese testardo, mia madre una francese nata nella Svizzera tedesca. E lei, a sua volta, era metà provenzale e metà del Valais, lo stesso ceppo dei valdostani. I bastardi sono forti e intelligenti. Ma io non credo di essere un fenomeno".

Così Giacinto Pannella detto Marco, che nasce a Teramo il 2 maggio 1930 sotto il segno del Toro, ricorda le proprie origini. I1 padre Leonardo, nato nel 1898, proviene da una famiglia di piccoli proprietari terrieri, studia ingegneria a Torino, si laurea e si impiega alla Banca agricola provinciale. Durante un viaggio di lavoro a Grenoble conosce Andrea Estechon, nata nel 1900, figlia di albergatori: se ne innamora, la sposa e la porta con sé a Teramo.

"Cioè nel profondo Sud, perché questo erano gli Abruzzi di allora", ricorda Marco. Pannella si trascina dietro l'ingombrante nome Giacinto in onore di un prozio prete-letterato, che ospitò su una sua rivista articoli scritti da Benedetto Croce e Giovanni Gentile. "Da noi, come in tutte le famiglie del ceto medio nel Mezzogiorno, una o due persone per ogni generazione entravano nella Chiesa", racconta Pannella a Giulia Massari in un'intervista del '75, "perché al primogenito spettava il diritto di occuparsi degli affari di casa, mentre gli altri diventavano notai, farmacisti o preti".

"Questo zio monsignore", continua Pannella, "si occupò invece dell'amministrazione delle terre, rimase insomma il classico capofamiglia. Era l'unico che avesse interessi culturali. Quella sua rivista era una cosa del tutto artigianale e provinciale che però, per un caso strano e con una certa commozione, ho poi ritrovato in biblioteche specializzate a Parigi e a Vienna".

Don Giacinto Pannella, alla cui memoria Teramo ha dedicato una via centrale, fece un gesto abbastanza audace per quei tempi: "Quando mio padre tornò a casa con la moglie francese, che parlava soltanto la propria lingua e aveva i capelli corti in un paese dove tutte le donne li portavano raccolti a crocchia sulla nuca, e indossavano vesti nere lunghe fino ai piedi, lui capì che doveva aiutare la giovane coppia piombata in un mondo diverso e difficile. Così scorporò la parte di proprietà che spettava a mio padre, e gli dette qualche possibilità. Può darsi che io non abbia animosità anticlericali per questo semplice dato di cronaca: perché la persona migliore della mia famiglia era questo prete, che era stato liberale e non popolare sturziano. Ho sempre avuto ottimi amici preti. Sono un laico, tranquillamente, senza lotte interiori o problemi".

"Ma anche Marco Pannella, in realtà, è un prete", sostiene Massimo Fini, commentatore dell'Europeo e dell'Indipendente, "infatti usa spesso parole come "scandalo", "testimonianza", "vita", "verità", "dar corpo a"... Ma non è un prete latino, accomodante, tollerante. Lui è un intransigente prete del Nord, un protestante, un calvinista. E il suo spaventoso rigore morale, assoluto, quasi maniacale, lo deve aver preso dalla madre". Concorda Giulia Massari: "Dalla mamma ha ricevuto molta lucidità, dal padre cocciutaggine e gusto dell'argomentazione".

Papà Leonardo era fascista: "Come tutti quanti, allora", ha raccontato lo stesso ingegnere nel '76, "poi partii per la guerra, rimasi lontano da casa molti anni. Quando tornai ero diventato liberale. In casa nostra si parlava di politica, si leggevano i giornali. Anche Marco diventò liberale".

Due anni dopo il primogenito, in casa Pannella nasce Liliana. Diventerà docente di storia della musica all'accademia di Santa Cecilia a Roma. Parteciperà anche alle attività del partito radicale, ma se ne allontanerà in polemica con la proposta, da parte di alcuni deputati del Pr, di abolire come ente inutile una certa associazione di musicologia che le stava a cuore.

A casa Pannella, famiglia di solida borghesia agraria, negli anni '30 non manca nulla. Neanche il brivido dell'antifascismo. La signora Andrea, infatti, in casa parla soltanto francese perché vuole che i figli crescano bilingui. E così, in quell'Italia francofoba che odia a tal punto i francesismi da sostituire parole innocue come "panorama" con assurdi "tuttochesivede", il sospetto della fronda si posa su quella casa nella via di Teramo oggi intitolata a don Giacinto Pannella.

"Un'infanzia normale", ricorda Pannella, "con molte donne, zie e contadine che mi accudivano, giochi e allegria. Però in quella normalità, in quella felicità, c'erano piccole cose di grande importanza. Un vecchio calzolaio antifascista, per esempio, proprio sotto casa nostra, dove non si doveva andare. Avevo tre o quattro anni. Beveva, dicevano che era inavvicinabile per questo. Però si capiva che il male era che urlasse contro il fascismo. Mio padre lo difendeva. C'era anche allora una droga: l'alcol. E quell'uomo si ubriacava, si distruggeva perché era l'unico modo con cui poteva ribellarsi".

Anche la signora Pannella che osa parlare nella propria lingua passa i suoi piccoli guai: "C'era sempre qualche notabile che veniva a dirle che non si doveva fare, non era bene, che bisognava stare attenti".

"Da piccolo Marco era vivacissimo, sensibile, precoce", ha detto la signora Andrea, "ma con mio padre, vecchio e malato, diventava tranquillo. Gli stava accanto per ore senza muoversi, accarezzandolo con tenerezza. È stato sempre affettuosissimo". Difficile immaginare un Pannella silenzioso, a sei come a sessant'anni. Una certa venerazione per i vecchi, però, Marco l'ha conservata. Ha sempre voluto che i suoi genitori fossero presenti ai congressi radicali, e ha spesso difeso la "saggezza delle nonne che si iscrivono al partito ascoltando radio radicale".

"I genitori li adorava", conferma Aldo Canale, "aveva verso di loro un affetto che oserei chiamare borghese. E anche un certo timore borghese, una sorta di preoccupazione per quello che potevano pensare di lui". La morte della madre nell'83 gli ha lasciato un dolore profondo. "Col padre", ha raccontato Enzo Tortora, "Marco è stato semplicemente meraviglioso. Invecchiando s'indeboliva di mente, perdeva la memoria, e Pannella prendeva il treno per andare a Teramo a fargli fare esercizio: con infinita pazienza gli insegnava di nuovo le tabelline". Dopo la scomparsa della moglie l'ingegner Leonardo si è spento lentamente, ed è morto nel 1986.

Nel '35 Marco viene iscritto con un anno d'anticipo alla "primina" della scuola Montessori di Teramo. Le Montessori erano rare, a quei tempi. E la buona borghesia teramana era ben felice di sperimentare le nuove dottrine pedagogiche. L'anno dopo, però, la famiglia Pannella si trasferisce a Pescara. E Marco finisce lì le scuole elementari saltando la quinta, come succedeva allora ai primi della classe. "Ma era anche per ragioni di "classe" che noi ragazzi borghesi eravamo avvantaggiati rispetto agli altri", ricorda Pannella. "Noi infatti parlavamo già italiano, mentre i bambini poveri conoscevano solo il dialetto. Il mio maestro a Pescara era figlio o parente dei nostri contadini di Teramo. Perciò io godetti fin dal principio dei benefici della struttura classista della nostra società".

Marco-prodigio, due anni avanti a scuola, è pure bilingue. Non soltanto perché il francese è la sua lingua materna, ma anche perché ogni estate viene spedito in Francia da parenti, in vacanza. Ed è lì che, a otto anni, diventa perfino antimilitarista. Ecco come andò: "Erano i giorni del famoso convegno di Monaco, nel '38. Sembrava che stesse per scoppiare la guerra. In Alta Savoia, mentre aspettavo che mio padre venisse a prendermi, una sera i miei cugini più grandi mi raccontarono che un'intera compagnia di soldati italiani - ma in realtà era soltanto un plotoncino - aveva passato la frontiera e consegnato le armi ai francesi, perché non voleva fare la guerra contro la Francia. Erano un giovane sottotenente e dieci soldati. Vidi che erano esseri umani, quei "disertori", "traditori", "obiettori di coscienza", e non mostri come ce li dipingevano i fascisti. Quell'episodio mi diede molto da pensare sulla propaganda patriottica e sulla guerra".

Un'altra passione politica di Pannella nasce in Francia. Ecco come viene gettato il primo seme: "Mi avevano mandato a casa di un’ "instituteur" a perfezionarmi nella lingua. Io mi ero affezionato a tutt'e due, marito e moglie, che però fra loro litigavano a morte: si tradivano, si insultavano, si mettevano le mani addosso. E io ero sempre in mezzo, a volte prendendo le parti dell'uno o dell'altra. Decidevo perfino se dormire col marito o con la moglie. Mi chiedevo perché mai quei due, che si facevano reciprocamente una vita d’inferno e che invece separatamente erano persone così amabili, dovessero continuare a vivere insieme. Ero turbato, facevo il confronto con l'armonia della mia famiglia. Significava già, forse, porsi sia pure in maniera rozzissima il problema del divorzio, ribellarsi all'idea che due siano legati per sempre perché un giorno decisero di sposarsi...".

E sulla spiaggia di Pescara il piccolo Marco scopre anche il razzismo. Una scoperta dolorosa: "Avevo una compagna di giochi, si chiamava Adria. Era il mio primo grande amore, avevo preso una cotta gigantesca per lei. Ci vedevamo tutti i pomeriggi a giocare. Ma un giorno, d'improvviso, non si vide più. Scomparsa. Era figlia di ebrei, e la sua famiglia era scappata a Tangeri. Allora ho capito cosa vuol dire perseguitare le minoranze".

Antifascismo, droga, antimilitarismo, divorzio, diritti delle minoranze: tutto già lì, nel microcosmo abruzzese-savoiardo? "Sono fatterelli, però servono a dimostrare quello che ho sempre detto: vita privata e vita pubblica sono un tutt'uno. È sempre l'esperienza personale, privata, che si trasforma in politica e dà la forza per combattere le battaglie. Io dico spesso che le leggi non devono affondare solo nei giorni, ma anche nelle notti. Tanto più "privati" certi fatti m'appaiono, tanto più pubblici e politici cerco che siano riconosciuti. E quell'eterna polemica fra amore e amicizia, che grosso equivoco! Dire che con la ragazza puoi chiavare e con l’amico devi parlare, vuol dire dividere in due la propria vita. Un’assurdità".

Nel '4I Leonardo Pannella fa carriera e si trasferisce a Roma, seguendo la struttura delle banche italiane: prima provinciali, poi regionali, infine nazionali. La famiglia trova un appartamento vicino a piazza Bologna. Marco frequenta la scuola media di via Giovanni da Procida, "a venti metri dalla campagna attorno alla stazione Tiburtina, con pastori, stagni e il campo di calcio Artiglio", come ricorda in un'intervista ad Antonio Debenedetti sul Corriere della Sera. "Per i sabati fascisti c'era una caserma in piazza Ruggero di Sicilia. In classe già nel '4I sapevamo della Petacci, si raccontava di cocaina dai Ciano e ci si masturbava brancatianamente durante le lezioni".

Il più romano fra i leader politici non romani va poi al liceo classico Giulio Cesare, dove i compagni lo ricordano soprattutto perché "si arrabbiava quando lo chiamavano Giacinto". Contemporaneamente l'inflessibile madre, anticonformista ma perfezionista, non paga di avergli fatto saltare due anni, lo spedisce anche a lezioni private di violino e scherma. Con il professore di musica Marco lega subito, perché quello parla francese, legge Le Monde e discute di politica con lui. Quanto al violino, non si sa com'è andata a finire. Con la scherma, invece, male: "I1 maestro era un fascistone aggressivo", lo liquida Pannella.

Dopo i bombardamenti di San Lorenzo, nell’agosto ‘43, la famiglia Pannella sfolla per un anno in Abruzzo. Marco studia regolarmente ("Non ero un bravo studente: se un libro o una pagina mi appassionavano mi ci buttavo sopra, se no me ne fregavo"), e alla maturità nel '47 prende otto in storia, sette in matematica e storia dell'arte, e molti sei. Ma ormai, dopo il ginnasio, dal '44 a Roma sono arrivati gli americani. La libertà. La democrazia. E il partito liberale.
Capitolo 2 - 1945 - 1955
IL LIBERALE UNIVERSITARIO

"Un giorno ho visto in edicola Risorgimento liberale. L'ho comprato, mi ha interessato. Mi pareva che ci fosse dentro quello che più amo, la libera discussione intelligente. Da quel giorno ne ho sempre comprato due copie: una per me e una per i miei compagni di scuola, perché la leggessero e ne discutessero, mi portassero le loro obiezioni ed esponessero le loro idee...".

È divertente immaginare il Pannella quindicenne impegnato già allora, come oggi, in una missione di proselitismo permanente. Per lui è importante avere delle idee, esprimerle e battersi per esse. Ma è vitale soprattutto convincere chiunque si trovi attorno. Anche adesso, qualsiasi persona gli rivolga la parola per un qualsiasi motivo (un saluto, un incitamento, un rimprovero) si sente sempre rispondere innanzitutto con una domanda: "Ti sei iscritto al partito radicale?". Conferma la sua compagna Mirella Parachini in un'intervista del ’92: "Ha la sindrome della pecorella smarrita. Il meglio di sé lo dà con le persone che deve portare dalla sua parte. Gli piace sedurre".

Il futuro seduttore nel '45 è sedotto dal partito liberale, il più antico partito italiano. Il glorioso Pli di Cavour e Giolitti, che fino al fascismo aveva dominato la scena politica nazionale, al primo voto del dopoguerra, nel '46, crolla però al 6,8%. Marco comincia a bazzicare via Frattina, sede nazionale del Pli, prende la tessera a 15 anni e sette mesi. "Il primo gesto grave di cui ho memoria riguarda, vedi il caso, un referendum: quello del 2 giugno '46 su monarchia o repubbhca. Io e i miei amici optammo per la posizione crociana di agnosticismo, ma la maggior parte dei liberali votò monarchico".

Per la verità i ricordi di uno dei suoi amici di allora, Paolo Ungari (oggi docente della Luiss, l'università della Confindustria, e dirigente pri), non combaciano con quelli di Marco: "Pannella scriveva slogan a favore del re su fogli di quaderno e li affiggeva sui muri dei palazzi del quartiere". In ogni caso Marco, dopo il liceo, si iscrive a Legge all'università di Roma. Ma più che a studiare, pensa a fare politica universitaria. È fra i fondatori dell'Ugi (l'Unione goliardica italiana che raccoglie i laici) e poi dell'Unuri (Unione nazionale universitaria rappresentativa italiana, l'organismo unitario di tutti gli studenti).

Così lo ricorda Sergio Stanzani, futuro senatore e segretario radicale, che lo conosce nel '47: "Alto e magro come uno spettro, lavorava con una capacità incredibile. Era diverso dagli altri: aveva una maturità e una consapevolezza superiore. Ma soprattutto possedeva già quell'intransigenza interiore che lo distingue. Anche da ragazzo non ha mai concesso molto a se stesso". "Sì", conferma Pannella, "non avevo neanche i soldi per il tram e mi facevo tutta Roma a piedi due volte al giorno. Ogni tanto, per rimediare qualche lira, aiutavo mio padre in ufficio".

Leonardo Pannella nel '49 lascia la banca e si mette in proprio. Apre una ditta di import-export. Gli affari vanno bene, ma non c'è verso di coinvolgere il figlio votato alla politica. Varie volte Marco cerca di interessarsi alla società paterna, ma proprio non ce la fa. Pare che negli anni '60, a causa di un suo affare sbagliato (importò una partita di datteri senza riuscire a collocarli in Italia), per mesi i militanti radicali romani mangiarono datteri.

Gli domanda Giulia Massari nell'intervista a Playboy del '75: "Nella tua famiglia, chiaramente tendente alla "carriera" in senso borghese, cos'era il tuo fare politica?". Risposta: "Qualche volta oggetto di discussione, non di polemlca. Io già allora parlavo molto e, credo, con un certo potere dl persuasione. Forse lo esercitavo anche sui miei genitori. O forse essi erano, in fondo, abbastanza aperti, abbastanza comprensivi. O magari esasperati di sentirmi discutere senza arrabbiarmi. Del resto, nemmeno loro si arrabbiavano mai".

Conferma papà Leonardo nel '76: "Approvo sempre quello che fa mio figlio, anche se non ne discute con me". Continua Pannella: "E poi, una laurea l'ho presa, no? A Urbino, con un voto bassissimo: 66. Scelsi Urbino fra le tante università perché pareva che lì avrei potuto fare presto. Discussi per quattro ore, con undici professori. La tesi era, guarda un po', sull'articolo 7 della Costituzione: il Concordato. Me l'ero fatta scrivere da alcuni amici, un capitolo ciascuno. Io non l'avevo neanche letta tutta. Però da discutere c'era abbastanza".

I vecchi notabili del Pli, nel frattempo, dopo l'errore del referendum collezionano altri fiaschi. Alle politiche del '48 si alleano con i qualunquisti di Guglielmo Giannini per strappare elettori di destra alla Dc, ma ottengono soltanto il 3,8%.

Pannella in quelle elezioni fa comunque disciplinatamente propaganda per il suo partito. Quindi l'accusa di "qualunquismo", la più frequente scagliata dai comunisti contro i radicali, ha una sua piccola base storica.

Nel 1950, a vent'anni, Pannella diventa il capo nazionale degll universitari liberali. Augusto Premoli, senatore pli, lo ricorda come "una promessa per la nostra famiglia" con Guido Quaranta, nel libro Superpannella (ed. Matteo, Treviso 1977): "Fin dagli anni plù acerbi della sua vita faceva spicco per il gusto della polemica, per la qualità degli argomenti e, come avrebbe detto Einaudi, per il felice paludamento verbale con cui difendeva le proprie tesi".

"A queste doti non trascurabili", continua Premoli, "aggiungeva la fantasia, il fiuto nello stanare e nell'inventare temi che avrebbero fatto presa sull'opinione pubblica, e uno spiccatissimo senso del teatro. Per cui ad ascoltare Pannella, e ne valeva la pena, si aveva sempre l'impressione di far parte di una platea di spettatori non del tutto convinti, ma certo attratti dal livello della recita".

Pannella in quegli anni legge molto: "Per me sono stati importanti cinque o sei aforismi di Nietzsche sul bene e il male, Gozzano, guarda un po', e la Sonata a Kreutzer. Un certo numero di Esprit, la rivista del filosofo cattolico Emmanuel Mounier, trovato nella stazione di Modane nel '47 aspettando un treno. La Storia dell’età del barocco di Croce. Un poeta, Saint-John Perse, Nobel nel '60, da leggere come si legge un’enciclopedia, e che tutti invece trovano difficile perche conosce troppi termini. Thomas Mann, aedo della borghesia, e i libri della Medusa".

E Marx? "I miei compagni lo leggevano, ti citavano immediatamente la quarta o quinta risposta a Feuerbach. È la segnalazione che si fa liturgia o litania. Io non ho letto Marx, ma ne ho preso quel che mi occorreva. E poi, proprio bambino, ho letto i grandi romanzi russi, trovandomi sempre un po' a disagio con i patronimici ma cavandomela benissimo, perché in realtà anche nel romanzo classico non c'è bisogno di un intreccio".

Ma il pane quotidiano di Marco sono i giornali. "Perché nei giornali ci sono idee che non appaiono, forse per la loro posizione, cioè per essere collocate a fianco del fatto contingente e minuscolo, avulse dal presente. Leggere un settimanale o un quotidiano è importante, perché ne ricevi idee che prendono corpo dentro di te, che diventano te stesso. Io leggevo il Mondo. Non credo invece nelle ideologie codificate e affidate ai volumi rilegati, alle biblioteche e agli archivi. L'ideologia te la fai tu, con quel che capita, anche a caso".

Così per l'eclettico Pannella è importante anche ascoltare alla radio, fra il '46 e il '48, il Convegno dei cinque. Lo affascina in particolare Umberto Calosso, parlamentare socialista libertario, che parlava di libero amore, di preti e di religione, di liberazione umana e di pacifismo: sua fu la prima proposta di legalizzare l'obiezione di coscienza dopo il caso di Pietro Pinna nel '49.

Calosso durante la guerra era stato anche voce di radio Londra, "attraverso la quale molti di noi giovani balilla, figli della lupa, avanguardisti, che ascoltavamo la radio del regime negli anni '40, ogni tanto udivamo quella stranissima voce pirata che ci diceva cose inimmaginabili, piccole e sconvolgenti. E ce le diceva, da radicale, nella forma della narrativa e non della saggistica".

"All'università di Roma", continua Pannella, "che all'inizio degli anni '50 era ancora nel suo insieme fascista nonostante la direzione ufficialmentc antifascista, riuscimmo ad assicurare che Calosso potesse tenere delle lezioni. Il mio compagno Giuliano Rendi, nonostante si professasse nonviolento già allora, ruppe un ombrello sulla testa del fascista Caradonna per difendere quei contro-corsi sul Manzoni e sull'Alfieri, pensate un po' quanto rivoluzionari, eppure tanto temuti". Il futuro parlamentare missino, allora capo degli universitari fascisti romani, voleva infatti impedire di parlare a Calosso, "traditore e disertore socialista".

Gli attacchi degli estremisti di destra contro gli universitari laici dell'Ugi erano continui: "Ricordo una foto su un quotidiano romano del pomeriggio, Il Giornale della Sera. Era un po' sfocata, ma si vedeva un ragazzo che saltava giù da una finestra, stringendo una cassetta al petto. Ero io. Si doveva votare all'università, e i fascisti di Caradonna mettevano i bastoni fra le ruote. Votammo. Ma i fascisti entrarono, ed erano armati di pugni di ferro e altre armi, erano parecchi, avevano un'aria pericolosa. Io presi l'urna e mi calai giù dalla finestra di Scienze politiche, un primo piano rialzato. Sotto c'erano dei forni di calce viva, con degli operai attorno. Riuscii a non caderci dentro, ma ci andai vicino. I fascisti nel frattempo erano scesi e avanzavano dalla strada, sempre coi loro pugni di ferro e quelle facce da bestia. In un attimo mi vidi perduto. Ma gli operai alzarono le pale e cominciarono a scagliare calce. Insomma, fu una vittoria della classe operaia".

Pannella, dopo la laurea in legge, lavora nello studio di un amico avvocato per un anno e si iscrive all'albo professionale. Ma i suoi interessi ormai hanno tutt'altra direzione. Presidente dell'Ugi, dal '54 dirige l'Unuri, facendovi confluire anche gli universitari comunisti. "Accadde qualcosa che in quei giorni pareva impensabile: si realizzò l'unione di tutti i laici, dai comunisti ai liberali che allora erano considerati estremisti di destra".

L'Ugi è la fucina di buona parte degli uomini politici italiani: da Pannella ad Achille Occhetto, da Bettino Craxi a Gianni De Michelis, da Stefano Rodotà a Luciana Castellina. "Enrico Berlinguer invece lo conobbi nel '52-'53 quando, di ritorno da uno dei suoi incarichi nel movimento comunista internazionale, era venuto a vivere a Roma vicino a piazza Boiogna, dove abitavo anch'io", racconta Pannella a Marcello Sorgi sulla Stampa nel ‘90. "La sera Berlinguer scendeva a portare a spasso il suo cane, un pastore tedesco. Quando lo incontravo passeggiavamo insieme parlando di politica. Poi i nostri rapporti si raffreddarono. Quando lo rividi, nel '74, anziché chiamarmi "Marco" mi rivolse un gelido "Pannella"".

I giovani virgulti che si allenano negli anni '50 a far politica nelle università non navigano nell'oro. "Il movimento studentesco era molto povero", ricorda Pannella, "e per portare avanti il nostro lavoro vivevamo praticamente sui treni. Viaggiavamo di notte, in seconda o terza classe, per risparmiare i soldi dell'albergo. I nostri compagni ci aspettavano nelle stazioni per delle riunioni di un'ora o due. Poi prendevamo un altro treno per arrivare a un'altra stazione. Ma la nostra vita era piena e molto intensa". In quegli anni Pannella conosce molti futuri dirigenti radicali: Stanzani, Rendi, Gianfranco Spadaccia, Massimo Teodori, Franco Roccella, Giuseppe Ramadori, Lino Jannuzzi.
Capitolo 3 - 1950 - 1960
DUE MAESTRI: PANNUNZIO E ROSSI

"Che vuoi, Pannella? Vattene, sei giovane, sii felice, al mondo non c'è solo la politica, ci sono le ragazze, la campagna dov'è bello passeggiare, che felicità dormire su un prato...". Questo è il messaggio che Ernesto Rossi, secondo Arrigo Benedetti, vuole dare al Pannella ventenne. Rossi, antifascista illustre, è giornalista al Mondo. Benedetti ha fondato l'Europeo a Milano nel '45, ma è dell'ambiente. E l'"ambiente", nella Roma degli anni '50, è quello della redazione del Mondo, il settimanale creato nel '49 e diretto dal liberale Mario Pannunzio, a Campo Marzio.

Pannella si affaccia sempre più spesso nella sede del suo giornale preferito. Non è l'unico giovane a essere attratto da quel cenacolo di galantuomini i quali, oltre a confezionare il settimanale più sofisticato dell'epoca, usano la redazione come un salotto intellettuale perenne, che poi si trasferisce al caffè Rosati in piazza del Popolo o in via Veneto. In concorrenza con Marco, a farsi notare dagli "anziani" della cultura liberaldemocratica italiana, c'è un tale Eugenio Scalfari. È provinciale quanto l'abruzzese Pannella (Scalfari, padre calabrese direttore di casinò, è nato a Civitavecchia e ha abitato a Sanremo). E come Marco anche Eugenio, più vecchio di sei anni, è un attivista della sinistra Pli.

"Ma gli anziani diffidano spesso dei giovani da cui si vedono ricercati", scrive Benedetti sul Corriere della Sera nel ‘74. "Che ha Pannella? Che vuole?", si cominciò a dire subito. Alto, tutte spalle, esile, gli occhi vellutati, la voce calda, i capelli lisci e lunghi ricadenti sulla fronte, non si sapeva spiegare. Radicale anche lui, certo, com'erano definiti i liberali di sinistra e i superstiti del partito d'azione; però aveva un suo assillo segreto. I miei amici l'osservavano incuriositi. Il suo attivismo, il suo essere sempre pronto a correre dove fosse rischio e passione, la smania d'eccitare le sinistre a impegni "liberali" attraeva e impensieriva. Vuoi fare carriera? Un posto alla Rai? Hai sbagliato uscio, Marco. Batti altrove".

Continua però Benedetti: "Tutti, l'ammettessero o no, lo considerarono subito una promessa. Senti come parla, dicevano incantati dal timbro baritonale appena aveva la parola nel convegni. Non sottilizzava, aveva qualcosa dentro, cercava d’esprimerlo, suscitava energie. "Che trombone — esclamavano però — non avrebbe tutte le doti per un partito di massa?". Ma io ho il gusto per gli eccentrici, proprio se non si capisce subito che vogliono. Pannella seguitavo a stimarlo perché è uno di quegli italiani seri nell'intimo che non hanno paura d'esser presi per buffoni".

Allora: un Pannella "politicomane" che brucia tutta la propna gioventù tra congressi, dibattiti, mozioni e riunioni? "Eravamo ragazzi, gli stessi ragazzi che andavano a giocare a pallone o a ballare con le ragazze", dice lui, "che cioè avevano quella che si chiama una vita privata. Ma la nostra vlta privata coincideva con quella pubblica. Perché dialogo, per me, è qualcosa di complesso e completo, non unicamente "spirituale": dialogo sono anche le carezze, come i baci, i pugni e gli amplessi, oltre alle belle idee. Il mio manifesto, il manifesto dei radicali, ci viene da un grande poeta, Rimbaud: "Le raisonnable dérèglement des sens", il ragionevole sregolamento dei sensi. Una frase anti "maudit": Rimbaud aveva intuito quello che poi i cibernetici hanno dimostrato a livello scientifico. Il dramma è la "ragionevolezza"".

Ma fra i giovani che frequentano negli anni '50 i "grandi" del Mondo, gli eredi diretti di quei Gobetti, Salvemini e fratelli Rosselli che Pannella cita da quarant’anni in ogni suo discorso, Marco è quello più pieno di sacri furori? "No, soltanto un po' ardente. Però in un modo diverso dai sacri furori, che fanno sempre pensare a qualcosa di cupo, di introverso, a una voluttà di martirio. Io invece sono un estroverso, uno che ama la vita, per nulla tormentato, per nulla bruciante. "Route de braise et non de cendre", diceva un poeta: non la fiammata che brucia subito e lascia inutile e triste cenere, ma la brace, che dura a lungo"".

E quei maestri, sono stati buoni maestri? "Le persone che per me hanno contato non volevano certo essere maestri. Due vite hanno determinato la mia. Le vite di due persone che sono morte, una quando era giusto che morisse, nel '68, perché non aveva più speranza ed era convinto di avere finito; l'altra invece in un momento ingiusto, nel ‘67, quando molte delle sue previsioni si avveravano. Parlo di Mario Pannunzio e di Ernesto Rossi. Il partito radicale è fatto di tutto quello che dicevano loro due".

Cosa dicevano? "Pannunzio era la moralità, non il moralismo. Ciò che io amavo era il suo rigore, anche stilistico, quando ci predicava di ispirarci a Flaubert. La sua indifferenza al potere fu il suo maggiore insegnamento. Era un politico, se politico è colui che muta l'organizzazione della città, che incide nel proprio tempo. E chi, negli anni '50, ha inciso nel proprio tempo? Dicono: Mattei, Vanoni. Loro hanno creato forse qualcosa a livello degli oggetti, ma in realtà ciò che Enrico Mattei, il demiurgo dell'Eni, ha lasciato, è la "realpolitik" della corruzione; e Vanoni alcune buone soluzioni di meccanismo di controllo politico. Niente però che abbia veramente lasciato un segno, come appunto Pannunzio e Rossi, mai considerati dei veri politici, neppure dai loro amici. Erano due borghesi con una qualità insolita per un borghese: il disinteresse per il denaro. Perché di denaro non avevano bisogno. Non avrebbero saputo come spenderlo. Il consumismo non era affar loro".

Ma Ernesto Rossi, davvero tu lo consideri un politico? "Eccome. Lui così lieto di esistere, della letizia di un fanciullo, aveva previsto tutto: il corporativismo di Stato, la mano pubbllca che dà profitti a quella privata, il protezionismo. La sua battaglia contro la Federconsorzi dimostrò che non c’era alcuna rottura fra l'ltalia di Mussolini e quella democristiana, cioè del fascismo democratico. Il Duce a torso nudo nell’Agro pontino è forse più simpatico, certo non diverso dal dc Paolo Bonomi che dal '45 ha fatto il dittatore nelle nostre campagne come capo dei coltivatori diretti".

A un convegno su "Ernesto Rossi, democratico ribelle" nel ‘76, Pannella ricorda così il suo maestro: "Non avrei potuto concepire le battaglie per i diritti civili senza la vicinanza e l’esortazione costante di Ernesto Rossi. E questo avveniva nel '64-'65, i nostri anni peggiori, quando eravamo considerati drogati, omosessuali, scostumati. Ernesto è morto l’8 febbraio ‘67, avevamo inventato insieme quella cosa che si chiamava l’"anno anticlericale", che sembrava tanto di cattivo gusto. Il testo lo scrivemmo insieme, e il 5 febbraio diceva a sua moglie Ada, in clinica: "Vuoi vedere che quei pazzi hanno avuto ancora una volta ragione? Vedrai che alla manifestazione del teatro Adriano ci sarà molta gente, lo sento".

Continua Pannella: "Molti ci rimproveravano di sporcare un nome, quello del partito radicale, di una tradizione pulita, degna, dignitosa, austera. Ed Ernesto Rossi anche allora veniva giudicato da molti suoi amici una persona squisita, purissima, onestissima, bravo giornalista, ma che di politica non capiva nulla. Perché voleva l'abrogazione del Concordato, azioni di rottura, denunce dei compromessi contro i "padroni del vapore". Lo sentivamo tutti i giorni, anche nel Pr: "Che bravo Ernesto, come scrive bene Ernesto, ma che pazzo". E invece fu proprio lui a denunciare il dato centrale degli anni '50, lo Stato della Confindustria e dell'lri, e a scatenare la polemica sulle responsabilità miste del capitalismo privato e statale. Per questo è stato un grande uomo politico" (da Marco Pannella, Scritti e discorsi, ed. Gammalibri, Milano, 1982).

"Nessun altro, fra i politici, ti ha insegnato qualcosa?", insiste Giulia Massari nell'intervista del '75. "Davvero non saprei chi. Riccardo Lombardi è certo un'eterna lezione. Ugo La Malfa forse, in qualche momento. Sono stato abbastanza vicino a La Malfa, mi ha dimostrato benevolenza, lui, che dicono non tolleri nessuno vicino a sé. Però questo affascinante Crispi dei tempi moderni mi ha deluso. Cosa ha fatto La Malfa? La liberalizzazione degli scambi, si dice. Già, e poi? Cos'è cambiato, con la liberalizzazione degli scambi? Tutto è rimasto come prima. Politico è ciò che incide, ciò che determina sviluppo, crescita. E poi la sua insensibilità ai diritti civili, la sua unica attenzione ai fatti economici, sempre proponendo e riproponendo piccole soluzioni...".

Di minimalismo però, dopo vent'anni, Pannella accusa anche il gruppo del Mondo. Dice infatti nel '78: "Leggevamo o scrivevamo sul Mondo, ma la nostra era un'autosoddisfazione aristocratica e cieca. Eravamo una società di 40-50mila persone al massimo in tutta Italia, "libere" come "liberi" erano, sotto il fascismo, Croce di scrivere e migliaia di leggere la Critica di Laterza. In questo senso i veri eredi del Mondo e dei radical-borghesi di allora sono oggi i compagni del Manifesto: comunicano all'interno dei loro 70-80mila lettori, con la loro produzione di alta classe, i loro bei pezzi di analisi ideologica, i corsivi politici e il compiacimento del "come siamo bravi". Ma in realtà ripetono gli errori della cultura elitaria radicale degli anni '50".
Capitolo 4 - 1955 - 1958
NASCE IL PARTITO RADICALE

Il 1955 è un anno importante per la politica italiana. Il Psi comincia a staccarsi dal Pci, e fra gli alleati laici della Dc cresce l'insofferenza: Pri, Pli e Psdi mal sopportano il malgoverno, il clericalismo e il servilismo dei democristiani verso il Vaticano. Per di più, nell'aprile '55 viene eletto presidente della Repubblica il dc Giovanni Gronchi al posto del liberale Luigi Einaudi. I cattolici si ritrovano così in mano entrambe le poltrone più importanti dello Stato: la presidenza della Repubblica e quella del Consiglio.

È in questo clima che, nel dicembre '55, nasce il Prldi: Partito radicale dei liberali e democratici italiani. Nasce in un modo strano: su un giornale. È Pannunzio, infatti, a dare sul suo Mondo la notizia della formazione di un "comitato esecutivo provvisorio" formato da lui stesso, da Leo Valiani, dall'ex segretario pli Bruno Villabruna, dal conte Nicolò Carandini e da Leopoldo Piccardi, già ministro dell'Industria nel governo Badoglio.

Sono tre le anime dei radicali, partito degli intellettuali per eccellenza. La prima è quella della sinistra liberale. Villabruna, assieme ai giovani Pannella, Scalfari e Ungari, a Carandini, a Franco Libonati, all'ex ministro Leone Cattani e all'avvocato milanese Mario Paggi, esce dal Pli caduto in mano, nel '54, a Giovanni Malagodi. Il nuovo segretario infatti ha spostato il partito su posizioni ancor più di destra e di sudditanza verso la Dc e Confindustria.

Già da anni la sinistra liberale faceva vita a sé. A Roma si riuniva, fin dal '51, al club della Consulta nel teatro Eliseo, in via Nazionale. "Quanto a me, è nel '53 che mi sono reso conto dell'inutilità di cercare di rianimare il Pli in senso europeo", precisa Pannella. "Avete il potere? Malagodetevelo!", augurano andandosene i transfughi gobettiani ai seguaci del nuovo segretario. Il Mondo è più caustico: "Il nobile partito di Croce e Einaudi è stato affittato (forse neppure comperato) dall'Assolombarda". Nel I993 i giudici di Mani pulite scopriranno i "contributi" dell'Associazione lombarda degli industriali privati al Pli: quarant'anni dopo, nulla era cambiato.

Nel Pr confluiscono anche molti azionisti. Ferruccio Parri non aderisce. In compenso entrano Valiani e Guido Calogero, nonché esponenti di Unità popolare (la lista nata nel '53 contro la "legge truffa") come Piccardi. Infine la terza componente: i giornalisti. "Il partito radicale lo fondammo io, Pannunzio, Paggi e Libonati nella casa di Arrigo Benedetti a Marina di Pietrasanta nel maggio '55", si vanta Scalfari nel suo La sera andavamo in via Veneto (ed. Mondadori, 1986). Nello stesso anno Benedetti e Scalfari danno vita all'Espresso.

Questa versione scalfariana è contraddetta da Pannella,l'altro giovane gallo nel troppo affollato (d'ingegni) pollaio liberal-radicale: "Non è il caso di esagerare il contributo di Scalfari al Pli e poi al Pr. Eugenio era un personaggio assolutamente di secondo piano", racconta l'invelenito Marco a Giancarlo Perna, autore di Scalfari, una vita per il potere (ed. Leonardo, I990).

Chi ha ragione? "Scalfari non era un leader della corrente di sinistra del Pli", testimonia Paolo Ungari, allora capo dei giovani liberali, "era solo un giovanotto disponibile, mezzo manager e mezzo cassiere". Ma Dio solo sa quanto ci fosse bisogno, in quell'accolita di pensatori con la testa per aria, di qualcuno con i piedi per terra. Non per nulla Scalfari, prima di rompere con Malagodi, gli organizza a Milano la campagna elettorale del '53.

Pannella invece dal '50 è il responsabile nazionale degli universitari Pli. Pannella però sta a Roma, mentre Scalfari abita a Milano finché non viene licenziato dalla banca dov'è impiegato per un articolo sull'Europeo. Non hanno quindi molte occasioni di incontro, anche perché ormai Scalfari è un giornalista avviato, ha sposato la figlia del direttore della Stampa e ama frequentare "in alto". Ma sono entrambi brillanti e ambiziosi. Passano gli anni '50 a darsi gomitate per farsi notare dai "grandi". E il resto della vita ad accreditarsi entrambi come eredi unici e universali del Mondo e della tradizione liberaldemocratica. Con, in ogni caso, qualche credito in più del parvenu ds Walter Veltroni.

Nel partito radicale entrano i giornalisti del Mondo al gran completo. In prima fila Ernesto Rossi, che nel marzo '55 inaugura la fortunata serie dei convegni del Mondo (1955: Lotta contro i monopoli e Petrolio in gabbia; '56: Processo alla scuola e I padroni della città; '57: Atomo ed elettricità, Stato e Chiesa; '58: Stampa in allarme; '59: La crisi della sinistra, Verso il regime; '60: Le baronie elettriche).

I convegni saranno l'arma più efficace dei radicali in quegli anni. Vengono inoltre arruolati d'ufficio nel Pr scrittori come Ennio Flaiano e Sandro De Feo. Altri nomi prestigiosi: Arrigo Olivetti, Alberto Mondadori, Felice Ippolito, Francesco Compagna, Rosario Romeo. E, fra i giovani: Stefano Rodotà, Tullio De Mauro (ministro dell’Istruzione nel governo Amato del 2000), Piero Craveri, Giovanni Ferrara, Fabio Fabbri. Oltre, naturalmente, agli amici di Pannella: Spadaccia, Teodori, Rendi.

Il nuovo partito però subisce subito sonore sconfitte elettorali. Al Comune di Roma nel '56 la lista con il simbolo radicale di una donna col berretto frigio (ricordo della rivoluzione francese) non ottiene alcun eletto. Alle politiche del ‘58 il Pr si presenta assieme al Pri. Ma i risultati sono drammatici: soltanto l'1,4%, contro l'1,1% che il Pri da solo aveva ottenuto cinque anni prima. Fra i sei deputati eletti non c'è nessun radicale.

Commenta Vittorio Zincone sull'Europeo: "Quello radicale è un partito di notabili insediati autorevolmente in alcuni organi di stampa, i quali però sono letti soltanto dai simpatizzanti ed evitati dal pubblico agnostico. Non basta mettere insieme bei nomi di professori universitari e di apprezzati professionisti per vincere le elezioni". Le stesse parole avrebbero potuto commentare, nel '92, il fiasco della lista referendaria dei professori Massimo Severo Giannini, Ernesto Galli della Loggia e Massimo Teodori.

Pochi dei cervelloni snob che guidano il Pr negli anni '50 hanno voglia di immiserirsi nell'umile lavoro quotidiano necessario alla costruzione di un partito. "La politica è sangue e merda", ha ammonito Rino Formica con qualche ragione. Così i radicali non superano mai i duemila iscritti, e si illudono che per prender voti bastino giornali pur prestigiosi come il Mondo e l'Espresso, che però in quegli anni non superano assieme le centomila copie.

Eppure i temi da loro agitati sono importanti: eliminazione delle commistioni fra Stato e Chiesa, lotta contro i monopoli economici, difesa della scuola pubblica, opposizione alle speculazioni edilizie. Ma le brillanti e aggressive campagne giornalistiche non si traducono in consensi concreti. Inoltre affiorano divergenze su alcuni argomenti: mentre il Mondo, per esempio, in politica estera è filoamericano, Ernesto Rossi e gli ex azionisti sono neutralisti. E la politica estera, in un anno come il '56 con i fatti d'Ungheria, è un tema importante.

Il motivo più profondo dell'insuccesso radicale in quegli anni è però l'inconsistenza della strategia politica: non si poteva essere allo stesso tempo antidemocristiani e alleati di un partito di governo come il Pri, succube della Dc. Lo intuiscono Piccardi e Scalfari i quali, diventati segretario e vicesegretario nel febbraio '59 dopo la batosta elettorale, si avvicinano al Psi. Il quale però, a sua volta, è ormai lanciato verso il centrosinistra, cioè l'alleanza con la Dc.

Pannella, ancora troppo giovane, non trova molto spazio nel partito radicale. Ma si consola con la politica universitaria, dov'è diventato un piccolo mattatore. Nell'Ugi e nell'Unuri i suoi seguaci sono così entusiasti di lui che vengono soprannominati "pannellati". Al congresso dell'Unuri, di cui è presidente, Pannella nel '57 riesce a difendere l'autonomia delle organizzazioni studentesche rispetto alle fedeltà di partito. È, in nuce, il metodo pannelliano della "transpartiticità", cioè dell'unità con chiunque, al di là degli steccati ideologici, su singoli obiettivi concreti. Franco Roccella, anch'egli presidente Ugi (e nel '79 deputato radicale) conia la formula: "Non unità delle forze laiche, ma unità laica delle forze".

Nel '56 c'è la rivoluzione d'Ungheria. "Parto subito per Vienna con altri dirigenti dell'Unuri ad aiutare i profughi", ricorda Pannella, "stavamo al convento di Pierinstengas, tutta un'ala era occupata da ragazzi di Budapest scappati. Ne aiutiamo alcuni a venire in Italia, la moglie di Pannunzio era ungherese. Quando torniamo a Roma Michele Notarianni a Romano Ledda del Pci mi chiedono di non far prendere all'Unuri una posizione netta sui fatti d'Ungheria. Ma non li accontentai".

"Sempre nel '56, un giorno mi chiama a casa sua Ugo La Malfa", racconta Pannella a Giampiero Mughini di Panorama nell'89. "È in vestaglia e sotto ha il pigiama: segno inequivocabile che è incazzato. Mi dice che va al congresso dell'Ugi a Perugia, dove io avevo deciso di non andare. Mi sentivo già un po' senatore, o "padre nobile". La Malfa vuole evitare che venga eletto nella direzione dell'Ugi un giovane socialista morandiano (filo-Pci, nda). Allora decido di partire anch'io, sulla sua auto. A Perugia scopro che questo giovane del Psi è stato morandiano a 18 anni, ma che ora è un autonomista nenniano. Il veto contro di lui mi sembra sbagliato e ingiusto. Allora intervengo, e quel giovane viene eletto. Era Bettino Craxi".

"Un paio d'anni dopo", racconta Pannella a Filippo Ceccarelli su Panorama nell'86, "Craxi diventa vicepresidente dell'Unuri. A un certo punto, però, mi sembra che in quella gestione ci siano delle cose non convincenti, un po' troppo sottogoverno. Così torno a occuparmene. Bettino non ha responsabilità specifiche, è una tendenza generale. Gli vado a parlare nel suo ufficio romano, in via Piemonte. Lui è attento e sereno. Alla fine è molto disponibile, e accetta di mettersi da parte. Nessuna ruggine".

Così, al congresso dell'Unuri a Cattolica (Forlì) nel '59, Pannella e il comunista Achille Occhetto alleati scalzano il mai laureato Craxi dalla guida degli universitari italiani. Dopodiché Marco se ne va a Parigi, Achille resta a Roma e Bettino torna mesto a Sesto San Giovanni (Milano), a farsi le ossa nella Stalingrado d'ltalia. "Chi è questo Pannella che ha in mano gli universitari italiani?", domanda incuriosito il segretario del Pci Palmiro Togliatti.
Capitolo 5 - 1959 - 1962
ESILIO A PARIGI

Non capita tutti i giorni, negli anni '50, che a un ventinovenne "borghese", iscritto a un partito dichiaratamente anticomunista, sia permesso scrivere una lettera aperta al segretario del Pci Togliatti direttamente su un giornale comunista come Paese Sera, diretto allora da Mario Melloni (Fortebraccio). Eppure questo accade nel marzo '59 a Pannella, forte di una certa benevolenza da parte dei vertici di falce e martello dopo le vicende universitarie dell'Unuri.

Pannella, d'altra parte, non si era limitato ad aprire le porte del parlamentino universitario ai comunisti: aveva anche osteggiato, durante il primo congresso del partito radicale nel febbraio '59, la linea filosocialista del nuovo segretario Piccardi e del suo vice Scalfari. "È la Dc l'avversario principale, non il Pci", aveva detto Pannella nel suo intervento.

I giovani esponenti della neonata corrente di sinistra radicale" (gli ex goliardi Pannella, Spadaccia, Teodori, Stanzani, Rendi, Roccella, ai quali si aggiungono l'avvocato romano Mauro Mellini, Angiolo Bandinelli e, a Milano, Mario Boneschi e il figlio Luca) stimano che senza il Pci non è possibile alcuna alternativa a quello che già allora i radicali chiamano "regime democristiano". Nonostante la crisi d'Ungheria, infatti, il Pci nel '58 ha conservato il 22% dei voti. Pannella teme che se il Psi, con il suo 14% dei suffragi, andrà al governo con la Dc, forte del 42%, ne rimarrà succube, com'è già accaduto ai partitini laici negli anni '50. Bisogna quindi far entrare il Pci nel gioco democratico.

Pannella nell'articolo sul Paese esorta socialisti, radicali e repubblicani ad annunciare uno schieramento unitario, a coinvolgere i comunisti e a tracciare un programma di governo alternativo a quello democristiano. "Per edificare in Italia uno Stato democratico e moderno è necessaria una nuova maggioranza", scrive. Poi polemizza con Giorgio Amendola, "che ripropone al suo partito un compromesso con i monarchici e i reazionari, con i clericali sul Concordato, contro tutta la sinistra e i liberali. Inverosimile".

Pannella sa bene che, in quei tempi di guerra fredda, voler superare l'ostracismo dei democratici laici contro il Pci è un eresia. Quindi, rivolto più ai suoi che a Togliatti, scrive: "Fra democratici e comunisti non ci sono stati solo dissensi tattici. Chiedetene agli anarchici e ai repubblicani spagnoli, e comprenderete tra l'altro l'avventura, altrimenti incomprensibile, dell'antifascista Pacciardi e degli anarchici di Carrara che lo mandarono in Parlamento; chiedetene ai socialisti di mezza Europa, e tra questi all'onorevole Saragat, e sentirete operante il giusto ricordo di Benes, di Masaric, di Nagy, della eliminazione fisica della classe dirigente socialista nell'Europa orientale".

Pannella, infine, non rinuncia a far lezione al Pci: "Cessate di proporre mirabolanti politiche che nemmeno da soli potreste attuare. Non crediate che i grandi monopoli e gli interessi reazionari controllino ormai ineluttabilmente l'economia europea (era il motivo del no comunista alla Cee, nda). Rivolgetevi come interlocutori ai laburisti inglesi e alla socialdemocrazia tedesca, e non agli sparuti gruppi comunisti belgi, olandesi, scandinavi, inglesi, che non rappresentano nessuna reale posizione democratica e popolare nei loro Paesi".

A 35 anni di distanza sembrano parole sagge, quasi ovvie. Ma allora la proposta di Pannella crea scandalo e viene bocciata su ogni fronte. Togliatti in persona, innanzitutto, gli risponde tre giorni dopo, sempre sul Paese: "Non accettiamo queste polemiche sulla politica del Pci". E ripropone la collaborazione dei comunisti non solo con i laici, ma anche con i "cattolici organizzati", cioè con la Dc. Il Mondo, in un articolo anonimo dell'aprile '59 intitolato L’alleanza dei cretini, è ancora più duro: "Non si capisce perché i democratici dovrebbero dar peso alle tesi di un radicale che ripete per caso su un giornale comunista le tesi che il Pci cerca di diffondere da anni. Meglio discutere, nonostante tutto, con l'onorevole Togliatti". E la direzione del Pr emette addirittura un comunicato pubblico per sconfessare Pannella.

Disgustato e un po' depresso, Marco se ne va dall'Italia. Non prima, però, di essere riuscito a scambiare due battute a tu per tu con Togliatti: "Vede, onorevole, noi goliardi siamo un po' illuministi". E il segretario pci a Pannella: "Non si preoccupi, è un peccato veniale". Poi, il treno per Bruxelles. In Belgio Pannella lavora come operaio nella catena di montaggio in una fabbrica di scarpe. "Ma non ottenni il permesso di lavoro e dovetti andarmene". Finisce a Parigi, dove a corto di soldi si presenta alla redazione del Giorno, il quotidiano dell'Eni, in rue Saint Simon, 7° arrondissement.

Comincia a collaborare con la corrispondente in carica Elena Guicciardi. Copre il turno di notte. "Era già polemico", racconta Angelo Rozzoni, allora caporedattore del Giorno, a Gigi Moncalvo, autore del libro Pannella, il potere della parola (ed. Sperling & Kupfer, 1983), "invece di mandare il servizio richiesto inviava tre-quattro cartelle di controinformazione. Comunque era molto bravo e diligente, gli darei un sette. Ma aveva l'inveterata abitudine di fare a modo suo". "Frequentavo gli ambienti del Cln algerino, avevo e facevo pubblicare notizie proibite in Francia", ricorda lui, "cosicché una volta il Giorno venne perfino sequestrato a Parigi"

Nel giugno '61 il direttore Italo Pietra firma la richiesta di praticantato per il vicecorrispondente Pannella. E nel dicembre '62, dopo i rituali 18 mesi, Marco diventa giornalista professionista. Ma contesterà sempre l'Ordine dei giornalisti, e rifiuterà gli sconti su aerei, treni e autostrade a loro riservati. Il suo stipendio a Parigi: 20 mila lire al mese. Di politica non si può occupare, c'è già la Guicciardi. Ma per le pagine di cronaca riesce a intervistare Jean-Paul Sartre sulla tortura, viene inviato a Cannes al festival del cinema, va a Tolosa per un'inchiesta sulle caserme, si occupa di Dalida e del rapimento di Eric Peugeot.

Una volta da Milano lo incaricano di cercare Gina Lollobrigida a Parigi. "Le ho lasciato un messaggio in albergo", risponde sbrigativo con un telex che trasuda disinteresse. Nel gennaio ‘63 si dimette. "Mi licenziarono dopo una mia inchiesta sull Eni e Mattei", dice lui, "dopodiché fui messo all'indice. Soltanto Panorama negli anni '60 mi dedicò un po di spazio. Per gli altri ero vietato, sia come firma che come notizia".

Nei suoi tre anni a Parigi Pannella frequenta gli ambienti della gauche impegnati per l'indipendenza algerina. "Le cose più belle mi accadeva di farle soprattutto di notte", ricorda, "quando andavamo in giro a scrivere sui muri scritte anti Oas (l'organizzazione paramilitare contraria all'indipendenza algerina, nda), mentre decine di arabi venivano torturati e buttati nella Senna. E i giovani compagni socialisti che erano con me si meravigliavano che un "vecchio" trentenne rischiasse con loro le manganellate dei poliziotti francesi, allora molto spesso complici dell'Oas".

Pannella fa anche il suo primo digiuno, contro la guerra d'Algeria. Ma non allenta i contatti con il partito radicale in Italia. Anzi. Dopo la crisi del governo Tambroni nell'estate '60, con il riemergere dei fascisti e gli scontri in piazza a Genova, Piccardi e Scalfari riescono a convincere il Pr ad allearsi con il Psi per le elezioni amministrative di novembre.

Il matrimonio conviene a entrambi i partiti: il Pr cerca esiti elettorali meno disastrosi di quelli del '58; il Psi è ben felice, in vista del centro-sinistra, di attrarre voti moderati grazie ai prestigiosi intellettuali radicali "borghesi" in lista. Così nel novembre 1960, due giorni dopo l'elezione di John Kennedy a presidente degli Stati Uniti, alle comunali il risultato è buono: 51 consiglieri radicali eletti nelle principali città. A Roma salgono in Campidoglio Piccardi, Antonio Cederna e l'attore Arnoldo Foà. A Torino, unico capoluogo dove i radicali restano alleati ai repubblicani (in una lista autonoma con simbolo del Pr e con la candidatura di Norberto Bobbio), viene eletto Villabruna.

Ma è a Milano che avviene un episodio clamoroso. Su 19 eletti nella lista Psi-Pr, ben quattro sono radicali: Scalfari, Elio Vittorini (l'ex direttore del Politecnico), Sergio Turone e Alessandro Bodrero. Per Scalfari, in particolare, è un trionfo: quinto fra i più votati, con il quadruplo delle preferenze rispetto al debuttante Benedetto (detto Bettino) Craxi, relegato al quint'ultimo posto. Superano Scalfari soltanto i socialisti Mazzali, Greppi, Vigorelli e il futuro primo cittadino Aldo Aniasi. L'inestirpabile antipatia di Craxi per Scalfari risale a quelle elezioni. Dopo pochi mesi, nascerà proprio a Milano il primo centro-sinistra d'Italia.

Il 20 novembre 1960 si riunisce il consiglio nazionale radicale. Qui Pannella e Giuliano Rendi, in polemica con la segreteria, presentano una risoluzione in quattro punti. Nel primo, sui rapporti con i cattolici, chiedono l'abolizione dell’articolo 7 della Costituzione (il Concordato del '29 fra Mussolini e la Chiesa) e respingono il centro-sinistra, perché la Dc è un partito "di destra, capitalista e reazionario" Il secondo punto, sui rapporti col Psi, nega che l'alleanza fra socialisti e radicali rappresenti l'incontro fra la classe operala e la borghesia intellettuale: "Non facciamo i paternalisti, anche noi dobbiamo avere radici popolari".

La terza tesi invita a non dimenticare, dopo l'Ungheria, "i gesti di libertà degli individui e dei popoli". Ma è la quarta tesi la più innovativa. Si tratta di un vero e proprio programma pacifista: sì all'Onu, no a Nato e Ueo, Europa unita con elezioni dirette, disarmo non solo atomico ma anche convenzionale europeo, e "conseguente abolizione degli eserciti", proclamazione del diritto all'insubordinazione e alla disubbidienza civile, obiezione di coscienza.

Naturalmente il documento della sinistra radicale non viene approvato, e anzi provoca una frattura fra i "giovani": da una parte i pannelliani, dall'altra Rodotà, Jannuzzi, Ferrara, De Mauro e Craveri che vogliono invece avvicinarsi a Pri e Psdi. La battaglia riprende nel maggio '61, al secondo congresso radicale. Pannella sostiene che "bisogna lottare con tutta la sinistra contro il clericalismo, i nazionalismi, i padroni del vapore e la manomissione classista dello Stato", e ripropone l'alleanza laici-Pci.

Alla fine del congresso la maggioranza Piccardi-Scalfari filo-Psi ottiene 75 voti, contro i 35 della sinistra e i 2l della destra filo-Pri. Ma, con un trucco, i pannelliani vengono quasi eliminati dal Consiglio nazionale. La maggioranza infatti fa confluire parte dei suoi voti sui "giovani" di destra, cosicché per la sinistra vengono eìetti soltanto Roccella, il 23enne Teodori e l'avvocato udinese Manlio Gardi, contro 75 rappresentanti della maggioranza e 22 della destra. Carandini liquida così le tesi di Pannella: "È mosso da un sentimento violento ma anche commovente di inquietudine, insofferenza e impazienza. È alla ricerca angosciosa di verità sfuggenti e novità avventurose".

La corrente di sinistra comincia a organizzarsi autonomamente. Nel settembre '61 partecipa alla prima marcia per la pace Perugia-Assisi organizzata da Aldo Capitini (uno dei 12 docenti universitari che preferì perdere il posto piuttosto che giurare fedeltà al fascismo), al termine della quale Ernesto Rossi, a nome dei radicali, pronuncia un discorso contro le basi Usa in Italia. Nel marzo '62 la marcia pacifista si replica sul percorso Camucia-Cortona (Arezzo), ma ormai la burocrazia del Pci prevale sulla partecipazione popolare spontanea. Subito dopo, comunque, nasce la Consulta della pace, in cui confluiscono radicali, comunisti e i nonviolenti di Capitini.

Nell'ottobre '61 viene pubblicato il primo numero del bollettino mensile Sinistra radicaie, diretto da Giuliano Rendi, che durerà un anno. Nell'editoriale di presentazione Pannella scrive: "No al centro-sinistra: un no definitivo, severo e chiaro". E polemizza col mito della "programmazione economica" che secondo il Psi sarebbe stato lo strumento principale per trasformare la società. Da Parigi Pannella fa scrivere articoli a Jacques Vergés, difensore degli algerini (e negli anni '80 avvocato del nazista Klaus Barbie), allo scrittore partigiano Paul Vercors (autore del Silenzio del mare) e a Francis Jeanson, capo degli "insoumis" antimilitaristi contro la guerra d'Algeria.

Intanto i dirigenti del partito radicale si dividono sempre più fra filosocialisti e filorepubblicani, finché nel gennaio '62 il segretario Piccardi è costretto a dimettersi. In un libro Renzo De Felice rivela infatti che Piccardi partecipò come relatore a un convegno razzista nel '39 a Vienna. Fra accuse, controaccuse e litigi personale (Ernesto Rossi abbandona il Mondo, lui antifascista con tredici anni di prigione e confino sulle spalle, in solidarietà con Piccardi) il Pr si sfascia in pochi mesi. "Non potevano stare insieme degli intellettuali, gelosi della propria condizione e felici dell'indipendenza che da essa deriva", scrive Benedetti sull'Espresso nel marzo '62. Se ne va Pannunzio: "Era stanco delle bizze di Ernesto Rossi, delle vanità di Cattani, della supponenza di Piccardi, dell'attivismo mio, della logorrea di Pannella", ricorda Scalfari. In quale torna al giornalismo, come Pannunzio e Benedetti. Gli altri abbandonano la politica o confluiscono nel Psi e nel Pri.

La sinistra radicale si ritrova quindi in mano un partito svuotato. In giugno, alle comunali romane, il Pr presenta una lista capitanata da Pannella: mille voti, nessun eletto. In ottobre si dimette il segretario Villabruna. Nel dicembre '62 una nuova segreteria prende le redini del partito: è formata da Pannella, dal 24enne Luca Boneschi a Milano e dal bolognese Vincenzo Luppi. Elio Vittorini accetta di fare il presidente. Per Pannella è ora di tornare a Roma: si licenzia dal Giorno e versa la sua liquidazione nelle casse del Pr.
Capitolo 6 - 1963 - 1966
LA TRAVERSATA DEL DESERTO

"Crediamo che minoranze laiche attive e decise, schierate sui problemi civili oltre che economici, morali oltre che tecnici, ideali oltre che realisti, possano giocare un grande ruolo rivoluzionario insieme alle forze tradizionali della sinistra proletaria e socialista" (Sinistra radicale, ottobre '62).

Questo è il programma radicale per gli anni '60. Nel '62 è nato il primo governo Fanfani di centro-sinistra. "I nuovi radicali non erano né intellettuali di prestigio, né avevano alle spalle particolari strutture e ambienti che li sostenessero, se si fa eccezione per l'esperienza della politica universitaria", scrive Massimo Teodori nel suo libro I nuovi radicali (con Piero Ignazi e Angelo Panebianco, ed. Mondadori, 1977).

I giovani del Pr si gettano subito nell'azione. Pannella, Rendi e Bandinelli nel gennaio '63 vanno a Oxford, a una conferenza mondiale pacifista cui partecipano personaggi del calibro dei Nobel Bertrand Russell e Linus Pauling, del gandhiano indiano Devi Prasad e del deputato greco Gregori Lambrakis, quello immortalato da Yves Montand nel film Z, l’orgia del potere di Costa Gavras. È un vero e proprio summit antimilitarista, poche settimane dopo il mancato conflitto atomico per la crisi di Cuba. Sono presenti anche i dirigenti della nascente New Left americana, che l'anno successivo esploderà con le contestazioni in California all'università di Berkeley e contro la guerra in Vietnam.

Tornati a Roma, i radicali fondano il Comitato per il disarmo atomico e convenzionale dell’Europa. In aprile organizzano una marcia antimilitarista con mille partecipanti. Mettono in imbarazzo il ministro della Difesa Giulio Andreotti svelando i piani di una base Nato segreta per sottomarini alla Tavolara in Sardegna. Nel maggio '64 Pannella partecipa a Firenze a una riunione della Consulta per la pace, ma il dissidio fra i pacifisti filosovietici del Pci e gli antimilitaristi radicali e nonviolenti risulta insanabile. Così la Consulta si scioglie. Il Comitato radicale per il disarmo, invece, raccoglie l'adesione di 400 Comuni italiani sulla proposta Thirring di smilitarizzare l'Europa centrale.

Pannella nel '63 deve però fare i conti con lo stato del partito radicale. Gli iscritti non sono più di cento in tutt'Italia, e quasi tutta l'iniziativa politica viene prodotta dalla sezione di Roma. Decide allora di sospendere le iscrizioni nazionali e di prendere la via del federalismo: ogni sezione lavorerà autonomamente, e quando ci saranno abbastanza iscritti si convocherà un congresso nazionale. Nel frattempo Pannella rimane segretario unico provvisorio. Non vuole imitare, insomma, i partitini burocratici che spendono gran parte delle proprie energie nell'organizzazione interna, nel dibattito sulla linea politica e nella ricerca di iscritti da far pesare ai congressi, tralasciando l'azione verso l'esterno.

Nelle elezioni politiche del '63 il Pr non si presenta. Invita a votare per uno dei partiti della sinistra (Pci, Psi, Psdi, Pri) e pubblica, col titolo Il voto radicale, le dichiarazioni di voto di vari personaggi: Umberto Eco, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia, Elio Vittorini, Nelo Risi, Roberto Roversi, Massimo Mila, Silvio Ceccato, Mario Boneschi. È un episodio di "trasversalità transpartitica", in omaggio alla linea del Pr: "Unità, rinnovamento e alternativa di sinistra". Giancarlo Pajetta propone ai radicali di entrare come indipendenti nelle liste del Pci, garantendo loro tre eletti, in un'operazione che avrebbe avuto come capofila l’editore Giulio Einaudi. Ma Pannella declina l'appetitoso invito.

Nel giugno '63 il leader radicale convoca il consiglio nazionale del Pr e propone un dilemma che dopo di allora avrebbe ripetuto molte volte: "O cresciamo o ci sciogliamo. Sopravvivere è impossibile". Quella volta la soluzione trovata è Agenzia radicale, un organo di stampa quotidiano stampato in ciclostile da distribuire a giornali, parlamentari e iscritti. Dal '63 al '67 sarà il principale strumento di lotta dei radicali. Anche perché fra loro Pannella non è l'unico giornalista: lo sono anche Spadaccia (all'Agi, agenzia Italia), Aloisio Rendi e Giuseppe Loteta (che diventetà notista politico del Messaggero).

L'Agenzia radicale conduce campagne martellanti. Quando affronta un argomento non lo molla per mesi, offrendo sempre nuove rivelazioni. La campagna contro l'Eni, che ha Eugenio Cefis come vicepresidente dopo la morte di Mattei, è memorabile: va avanti dal '63 al '66. I radicali riescono a documentare la corruzione che l'ente petrolifero di Stato esercita nei confronti della stampa, anche di sinistra, distribuendo venti miliardi di allora in pochi anni.

Il Pr denuncia una strana coincidenza: nel '63 l'ex radicale Felice Ippolito, segretario nazionale del Cnen (l'ente per l'energia nucleare), viene arrestato e condannato in seguito alle accuse del settimanale di destra Specchio. E lo Specchio, guarda caso, è finanziato con mezzo miliardo dall'Agip (gruppo Eni). L'energia atomica dà fastidio ai petrolieri di Stato? Nel maggio '64 la procura di Roma apre un procedimento contro i massimi dirigenti dell'Eni, ma nessun giornale dà spazio alle accuse radicali. Men che meno quelli di sinistra, ideologicamente favorevoli all'industria statale.

"Subito dopo la convocazione giudiziaria", ricorda Pannella, "in due giorni, nottetempo, si trasferirono da Roma a Milano senza preavviso sei piani del grattacielo dell'Eur, sede Eni: tutta o quasi la documentazione amministrativa e contabile. E a giugno, forse a poche ore da decisioni assai gravi, papa Montini — al quale Cefis aveva finanziato i comitati per le nuove chiese quand'era arcivescovo di Milano — ricevette in blocco i massimi dirigenti dell'Eni e rivolse loro un discorso nel quale si magnificava, come cristianamente esemplare, la gestione dell'Ente petrolifero. Tutti i giornali, confindustriali e operai, pubblicarono con grande rilievo il discorso...".

I radicali tengono gli occhi aperti anche sulla minaccia di golpe dell'estate '64: "Scrivemmo sui rapporti che, stranamente, intercorsero tra Cefis, il presidente Antonio Segni e il generale Giovanni De Lorenzo in un momento delicatissimo della vita pubblica", dice Pannella. E nel '67, quando sull'Espresso Jannuzzi e Scalfari fanno scoppiare lo scandalo Sifar-De Lorenzo, il Pr denuncia l'appoggio che il Pci aveva dato al "neutralista" e "democratico" generale De Lorenzo.

Nel '65 l'Agenzia radicale scatena un'altra campagna, questa volta con successo: quella sull'Onmi (Opera nazionale maternità e infanzia), contro il sindaco dc di Roma Amerigo Petrucci e il suo assessore all'Igiene Clelio Darida (poi sindaco e ministro). Con anni d'anticipo sullo scandalo delle sevizie di suor Diletta Pagliuca ai suoi bambini, i radicali denunciano le truffe che la Dc commette nel campo dell'assistenza.

"Il mondo clericale", scrive l'Agenzia, "in questo ventennio ha saccheggiato settori essenziali della vita del Paese: dal ministero della Pubblica istruzione all'apparato poliziesco, da quello militare a quello della sicurezza sociale". E rivela che lo Stato, mentre dà solo 300 lire al giorno alle madri bisognose per allevare un figlio, ne fornisce ben tremila agli istituti clericali per lo stesso scopo. Questa volta però la stampa di sinistra (Espresso, Astrolabio, Paese) riprende le circostanziate accuse del Pr, e il sindaco Petrucci finisce in galera.

Nelle elezioni amministrative del novembre '64 il Pr invita a votare Psiup (Partito socialista di unità proletaria, staccatosi dal Psi quando questo entra al governo: ne fanno parte Lelio Basso, Lucio Libertini, Vittorio Foa), e un mese dopo festeggia l'elezione del candidato di sinistra Giuseppe Saragat alla presidenza della Repubblica (ma gli ingraiani del Pci e il Psiup, in odio al fondatore del partito socialdemocratico, appoggiano il dc Amintore Fanfani).

Nel giugno '66 Pr e Psiup presentano una lista comune per le elezioni a Roma. Pannella arriva terzo con l.l20 preferenze, ma non entra in consiglio comunale. Ci riuscirà 23 anni dopo, con 33mila voti. Il segretario radicale ha però sotto gli occhi l'esempio francese, che nel '65 aveva visto tutta la sinistra unita con François Mitterrand alle presidenziali contro Charles De Gaulle.

"Invece in Italia abbiamo solo epigoni e larve dei grandi leader rivoluzionari o riformisti del socialismo", si lamenta Pannella. "Fra un voto a Fanfani, uno a Tambroni e uno a Rumor, gli inchini al vescovo della circoscrizione, i consigli del gesuita-progressista-di turno, trascorre il centro-sinistra, con la sua "svolta storica" e la "stanza dei bottoni": un grottesco brechtiano che vorremmo tentasse la fantasia del Marco Bellocchio di Pugni in tasca".

Ma non c'è soltanto il Psi succube della Dc, nel mirino dei radicali. Nell'agosto '66 Pannella fa arrabbiare il Pci con un'intervista a Giano Accame di Nuova Repubblica, il settimanale dell'ex segretario pri Randolfo Pacciardi spostatosi su posizioni presidenzialiste di destra. Dichiara il segretario radicale: "Il Pci ha sostenuto l'estensione delle strutture corporative volute dal fascismo: l'Inps amministrato da sindacalisti di sinistra, l'Iri che garantisce la privatizzazione dei profitti della nostra industria settentrionale, l'Eni a tal punto amato a sinistra che molto spesso sono avvenuti passaggi di "quadri" dal Pci all'Ente. Né il maggior monopolio italiano, che è ridicolo continuare a considerare forza "privata', la Fiat, si è vista riservare trattamento peggiore: i bilanci pubblicitari di certi giornali di estrema sinistra possono confermarlo".

Continua Pannella: "Il Pci è antipacifista, si limita a chiedere una maggiore "democraticità" dell'esercito. È l'unico partito laico che non ha mai presentato una legge per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza. Bisogna sfatare il mito di un'opposizione totale del Pci al sistema, per analizzarne invece anche la storia di compromissioni. Il Pci è paralizzato ogni volta che una campagna di moralizzazione investe centri di potere vaticani. Ecco perché nelle ultime elezioni a Roma molti comunisti hanno votato per noi".

L'Unità, con un commento intitolato Pannella demistificato vergato anonimamente da Maurizio Ferrara, padre di Giuliano, replica tacciandolo di "anticomunismo". "Accusa ingiusta, perché Pannella aveva sempre cercato il rapporto con il Pci", commenta Lorenza Ponzone nel suo libro Il partito radicale nella politica italiana (ed. Schena, Fasano-Brindisi, 1993).

I radicali in quegli anni si impegnano anche nel sindacato della scuola. Ma sono soprattutto le "azioni dirette nonviolente" (sit-in, volantinaggi in luoghi proibiti, gesti dissacratori) a caratterizzare il loro modo nuovo di fare politica. Per la verità non inventano nulla: si limitano a importare dal mondo anglosassone i metodi di Bertrand Russell, di Martin Luther King e degli studenti statunitensi. Ma in Italia l'azione diretta viene confusa spesso con il "bel gesto" dannunziano, esibizionista e vacuo: "Pannella è passato da Pannunzio a D'Annunzio", scherzerà il liberale Valerio Zanone.

Invece è proprio quel metodo concreto, nel '65-'66, ad attrarre nel Pr i giovani hippy e provos che anche in Italia seguono la rivoluzione musicale di Bob Dylan, Beatles e Rolling Stones. Anche perché il piccolo partito libertario è l'unico ad aprire gratuitamente le proprie sedi a chiunque. "Noi radicali eravamo non più di 70-80 in tutta Italia, a metterci dentro anche i malati e i dormienti", ammette Pannella. "Però in quei quattro anni di censura e disattenzione, della "lunga traversata nel deserto", eravamo diventati quelli delle marce, dei capelloni e della musica pop, delle sedi dove si scopava nei gabinetti, in cui ci si riuniva, si ciclostilavano i volantini e si preparavano i cartelli-sandwich, in cui arrivavano le denunce e i primi mandati d'arresto, in cui già apparivano attivi gli omosessuali, in cui si riunivano i comunisti di Bordiga e i trotszkisti di Maitan, gli anarchici di Valpreda e Pinelli e i situazionisti di Silvestro e Valcarenghi, iraniani e sudvietnamiti, disertori e latitanti, divorzisti e cristiani anticlericali..."

Si avvicina il '68. Dopo la prima marcia per il Vietnam (aprile '65), a Milano gli studenti radicali Lorenzo e Andrea Strik Lievers distribuiscono un volantino a favore del servizio civile e vengono arrestati. Don Lorenzo Milani scrive L'obbedienza non è più una virtù, lettera ai cappellani militari in cui difende gli obiettori di coscienza. I milanesi Andrea Valcarenghi (futuro animatore di Re Nudo, del Macondo e degli arancioni), Felice Accame e Aligi Taschera, con i lorc gruppi Onda verde e Mondo beat, vengono anch'essi arrestati per antimilitarismo il 4 novembre '66, anniversario della "Vittoria".

Ma il successo più grande Pannella lo ottiene con il divorzio. Nell'ottobre '65 il deputato socialista Loris Fortuna presenta una proposta di legge per la legalizzazione. Nel dicembre '65 i radicali organizzano il primo dibattito sul divorzio al teatro Eliseo di Roma. La sala è stracolma, le relazioni sono di Fortuna, Mellini e Castellina per il Pci. Pannella è in Algeria. Ma quando torna, assieme a Mellini fonda subito la Lid (Lega per l'istituzione del divorzio), con l'adesione del vicepresidente dell'Unesco Adriano Buzzati Traverso e del giurista Alessandro Galante Garrone.

Grazie all'impegno del settimanale popolare Abc (diretto ed edito da Enzo Sabato) vengono inviate in Parlamento 32mila cartoline di lettori in sostegno a Fortuna. Nell'aprile '66 c'è un imponente comizio di Pannella al Lirico di Milano e il 13 novembre '66, in piazza del Popolo a Roma, arrivano 20mila divorzisti da tutta Italia. La "rivoluzione dei cornuti" (così vengono sbeffeggiati i separati) sta per incominciare.
Capitolo 7 - 1967
L'"ANNO ANTICLERICALE"

Tutti i partiti sono preoccupati per il successo che Pannella e la Lid stanno ottenendo. L'Italia è uno degli ultimi Paesi europei a non avere una legge che permetta il divorzio. Ma il Vaticano e la Dc non sono disposti a concedere alcunché. Scende in campo perfino Paolo VI, che nel gennaio '67 esprime pubblicamente "sorpresa e dispiacere" perché il Parlamento non ha giudicato incompatibili divorzio e Costituzione.

Il Psi ha paura che la Dc tronchi il centrosinistra: "Il divorzio è una bomba a orologeria", avverte il segretario socialista Pietro Nenni. Il Pci teme per i suoi rapporti con le "masse popolari cattoliche" e con i dc di sinistra: soltanto nel marzo '67 si decide a presentare un suo progetto di legge. Ma anche i laici non vogliono "guerre di religione", e il ministro della Giustizia repubblicano Oronzo Reale tenta di spostare il divorzio nella riforma complessiva del diritto di famiglia, per allungare i tempi.

I tempi: è proprio questa la preoccupazione principale di Pannella. Egli sa che l'arma più efficace della Dc guidata dal soporifero presidente del Consiglio Aldo Moro è quella del rinvio ad libitum. Così accentua la pressione su ogni singolo parlamentare: gli fa scrivere e telefonare dagli elettori del suo collegio affinché questi senta sul collo il fiato dell'opinione pubblica.

A questo proposito c'è però un mito da sfatare: che il "Paese reale", la mitica "società civile", volesse la legge sul divorzio, e che soltanto i politici retrogradi la ostacolassero. Non è vero. Secondo la Doxa nel '65 gli italiani favorevoli al divorzio sono appena il 24%, e aumentano al 30% nel '67. Con qualche ragione, quindi, Ugo La Malfa investe Pannella: "È una follia, farai saltare il governo, ci porterai tutti alla rovina!". E Pannunzio, addirittura: "Pannella, lei metterà questo Paese nelle mani dei comunisti".

Tanto di cappello al leader radicale, quindi, perché sul divorzio non si limita a cavalcare l'opinione pubblica, ma la crea lui stesso con la sua Lid. Nella quale può entrare chiunque ("Anche i fascisti"), con spirito deideologizzato. Le adesioni prestigiose aumentano: dai comunisti Vittorio Vidali, Fausto Gullo, Massimo Caprara e Castellina ai liberali come Antonio Baslini. E più tardi anche l'ex presidente della Corte costituzionale Giuseppe Branca, Lidia Menapace, Giorgio Benvenuto, Lelio Basso, Arrigo Benedetti, il pastore Mario Sbaffi.

Ogni anno in Italia ci sono diecimila separazioni. I figli illegittimi sono 22mila. La Lid riesce ad arrivare a 20mila soci, ma il nucleo portante è costituito da radicali. Nei primi tre anni di attività i divorzisti mobilitano, fra comizi e invii di cartoline in Parlamento, 200mila persone. È il primo movimento spontaneo, fuori da Chiesa e partiti, nella storia dell'Italia repubblicana.

Il cammino della legge, però, è lentissimo. Nell'autunno '67, superate le pregiudiziali dc di incostituzionalità, il progetto Fortuna riesce ad approdare alla commissione Giustizia della Camera. Ma, nonostante le ulteriori 120mila firme raccolte da Abc, vengono approvati soltanto tre articoli. Poi ci sono le elezioni. Al congresso Lid, nel dicembre '67, il segretario Pannella minaccia di presentare liste divorziste alle politiche del '68. Alla fine la decisione è di appoggiare candidati di ogni partito che si impegnino a favore del divorzio.

Il partito radicale non trae benefici dal successo della lotta divorzista. Gli iscritti nel '67 sono sempre un centinaio. E le loro energie sono in gran parte assorbite dalla Lid. Ciononostante, il Pr proclama il I967 "Anno anticlericale". In febbraio, per l'anniversario dei Patti lateranensi, organizza una manifestazione di duemila persone contro il Concordato al teatro Adriano di Roma. In aprile un dibattito su "Sessuofobia e clericalismo", con Luigi De Marchi, fondatore dell'Aied (Associazione italiana per l'educazione demografica). A Pasqua, in piazza San Pietro, quando il papa appare per la benedizione i radicali tirano fuori un enorme striscione con la scritta: "Un milione di aborti all'anno. Trentamila donne muoiono di aborto clandestino e vogliono la pillola. Sì al controllo delle nascite". E il 20 settembre, giorno della presa di Roma, i laici del Pr festeggiano.

Proseguono anche le provocazioni antimilitariste. In fehbraio a Sulmona Mario Pizzola si dichiara pubblicamente obiettore di coscienza. Il 24 maggio, anniversario dell'entrata in guerra dell'Italia nel 1915, sull'Altare della patria a Roma i radicali organizzano un teach-in sul disarmo e depongono sulla tomba del milite ignoto una corona di fiori con le parole: "Nel Vietnam continuano ad assassinarti". Il 2 giugno, giorno dell'annuale parata militare, Valcarenghi e Taschera finiscono in prigione per aver distribuito un volantino contro l'esercito.

Il '67 è l'anno del colpo di Stato dei colonnelli in Grecia e delle rivelazioni sul mancato golpe del Sifar (i servizi segreti italiani) nel '64. Inoltre cresce anche in Italia la protesta contro la guerra del Vietnam, ma i radicali non partecipano alla manifestazione nazionale di giugno a Milano per tre motivi: l'antiamericanismo del Pci, l'esaltazione della guerriglia violenta dei vietcong e il rifiuto da parte marxista di mettere in discussione l'esistenza stessa degli eserciti.

Il Pr e i pacifisti di matrice cartolica appoggiano invece la "terza via" dei bonzi buddisti nonviolenti che si danno fuoco a Saigon, e ne invitano alcuni a Roma. I fatti, dopo il ritiro degli Stati Uniti dall'Indocina nel '75 e gli orrori dei governi comunisti in Vietnam e Cambogia, daranno loro ragione. Ma nel '67 c'è un salto di qualità nell'antimilitarismo radicale: in agosto parte la prima marcia per la pace Milano-Vicenza (sede del comando Nato) organizzata con gli anarchici, che si replicherà ogni estate fino all'85 su vari percorsi.

Pannella partecipa alla lunga camminata, che alla partenza da Milano è sorvegliata dal commissario Luigi Calabresi. Così lo ricorda Pannella dopo il suo assassinio, cinque anni dopo: "Lo conoscevamo bene. Si ostentava amico. Per alcune centinaia di metri, poco prima di Gorgonzola, si accompagnò con Pino Pinelli (l'anarchico che Calabresi fu accusato di avere ucciso nel '69, nda) e con me. Risalì sulla macchina dell'ufficio politico solo quando un compagno pretese che indossasse anche lui un cartello-sandwich, se voleva continuare a camminare con noi".

Continua Pannella: "La mattina all'alba, in piazza Sire Raul, mi si era presentato: "Sono il dottor Calabresi, siamo a vostra disposizione". Sembrava contento che le sue mansioni lo portassero a "vivere fra di noi" radicali, anarchici, libertari. Libri, dischi, discorsi, diritti civili per militari e poliziotti, nonviolenza: tutta la nostra roba sembrava coinvolgerlo. Forse lo coinvolgeva effettivamente. Ma questo rapporto mi preoccupava: era torbido e pericoloso. Lo rifiutai subito".

"La sera del 12 dicembre '69, dopo l'attentato alla Banca dell'Agricoltura la prima sede perquisita fu quella del partito radicale, in via Lanzone: la tv non mancò d'annunciarlo. Per questi giochi provavamo pena e commiserazione. Ho personalmente sempre pensato che Calabresi fosse un "uomo di buona fede". Schizofrenico, vittima anche lui, prima che boia, del sistema che doveva servire. Dove l'inquisizione lega psicopaticamente, a volte, il torturatore al torturato. Dove il demonio che si deve scovare e uccidere nell'altro finisce per essere il proprio, uno specchio di se stessi. Sartre di Morti senza sepoltura lo aveva intuito e denunciato".

Una denuncia per vilipendio delle forze armate intanto se la prende Pannella nella tappa di Bergamo della marcia, dove un giornale locale lo definisce "playboy in disarmo", perché ha osato definire in un comizio "esercito da operetta" quello italiano.

Nel maggio '67, a Bologna, si riunisce il terzo congresso del partito radicale. È il primo della nuova gestione di Pannella, dopo quattro anni e mezzo. Partecipano 250 persone, la metà ha meno di trent'anni. I giornali ignorano quasi completamente l'avvenimento. Lo slogan del congresso è: "Per una civiltà laica e pacifista, per un'Europa liberata dalle strutture militari, monopolistiche, autoritarie e clericali".

Viene approvato uno statuto molto aperto: chiunque può iscriversi senza controlli, basta versare la quota annuale. Non ci sono probiviri, discipline, espulsioni: chi aderisce al Pr accetta semplicemente il programma deciso ogni anno dal congresso, che è autoconvocato nella prima settimana di novembre. I partiti regionali sono autonomi e decidono a loro volta i temi su cui battersi annualmente.

I bilanci sono rigorosamente pubblici e autofinanziati. non esistono funzionari pagati. Il segretario nazionale e il tesoriere vengono eletti direttamente dal congresso, in cui possono votare tutti gli iscritti: anche chi ha versato la quota cinque minuti prima.

Sarebbe stato piuttosto facile quindi, almeno fino agli anni '70, impadronirsi del Pr portando 200 persone al congresso e facendole iscrivere all'ultimo momento. "Volete il partito? Accomodatevi, troverete soltanto debiti", scherza Pannella con chi gli fa notare questo pericolo. In realtà, i dirigenti radicali non hanno mai considerato il partito con mentalità "proprietaria". Anzi, "si è diffusa la valutazione che ogni struttura sia a perdere, e che ogni supporto organizzativo della politica debba sottostare alla filosofia dell'usa e getta", noterà il tesoriere Marcello Crivellini nell'82.

La ragione di uno statuto così aperto, insomma, sta nell'idea stessa di partito che hanno i radicali: uno strumento agile per condurre battaglie su singoli temi, coinvolgendo la gente con1une e non i professionisti della politica. "Senza la partecipazione del cittadino alla vita pubblica non si ha "consenso", si avranno tutt'al più seguaci e sudditi... E alla lunga ribellioni e rivolta", scrive Pannella nel '66, anticipando i fermenti del '68.

Segretario nazionale, al congresso del '67, viene eletto il 32enne Gianfranco Spadaccia. Della direzione fanno parte Mellini, Loteta, Marcello Baraghini (negli anni '70 fondatore di Stampa alternativa e nei '90 inventore dei libretti Millelire), Aloisio Rendi (fratello di Giuliano), Lorenzo Strik Lievers (senatore radicale nell'87), Angiolo Bandinelli.
Capitolo 8 - 1968
"ABBASSO ANCHE LA FANTASIA, SE VA AL POTERE"

"I1 1968 ha coinciso con il nostro massimo isolamento politico. Quando la borghesia italiana strizzava l'occhio a Potere operaio perché i suoi figli stavano lì dentro, noi polemizzavamo con Potop perché i loro cortei servivano solo a far rincasare con due ore di ritardo gli operai edili romani stanchi morti dal lavoro, che prendevano l’autobus 64 per tornare al Tiburtino o a Pietralata". È questo lo sferzante giudizio che Pannella dà del '68 in un'intervista a Ernesto Galli della Loggia e Fiamma Nirenstein nell'83 sull'Europeo.

"Dove sono finiti tutti i leader del '68?", continua Pannella. "Nell'industria culturale, nella pubblicità, nel marketing. Loro che accusavano noi di essere dei coglioni piccolo borghesi disinteressati alla lotta di classe. Il nuovo Terzo stato sono i proletari del Sud del mondo. Io non ho mai avuto il gergo sociologico del sinistrese. Se la fantasia va al potere, vada a fare in culo anche la fantasia, la rinnego. La polizia ha tollerato per anni che formazioni quasi militari si impadronissero delle città con i loro cortei, e poi arrestavano i pacifisti radicali con i cartelli sul marciapiede per manifestazione non autorizzata".

Nel '68 Pannella ha 38 anni, e si sente forse anche un po' spiazzato generazionalmente. "Nei cosiddetti rivoluzionari del '68", dirà dieci anni dopo a un congresso radicale, "c'è sempre stato, anche nella scelta dei mezzi di lotta, un razzismo feroce, anche se istintivo e non consapevole. Una scelta di lotta che emarginava la terza età, perché si esigeva che si fosse quanto meno capaci di correre per strada, o di resistere per dieci ore nelle assemblee".

Nell'ottobre '68 il segretario radicale Spadaccia ammette che anche il Pr, come gli altri partiti, è stato sorpreso e scavalcato dalla contestazione studentesca. Ma aggiunge che "l'autogestione delle lotte nell'università e l'organizzazione libertaria dei gruppi spontanei sono il terreno positivo che impedisce la cristallizzazione di gruppetti ideologici". Ahilui: di lì a pochi mesi la spinta antiautoritaria dei contestatori si spegne, e quasi tutto si riduce a gruppuscoli marxisti-leninisti (se non stalinisti) che, come egli teme, mostrano tutti i vizi tradizionali della sinistra italiana: "Astrattezza, massimalismo, rivoluzionalismo verbale, settarismo, dogmatismo".

La scelta nonviolenta e liberaldemocratica dei radicali rappresenta uno spartiacque non valicabile per i sessantottini. Ciononostante, Teodori viene invitato in novembre a Rimini per tenere una relazione su "Lotte contro l'autoritarismo nell'apparato statale" nell'Assemblea nazionale dei gruppi spontanei per una nuova sinistra.

Testardi, piuttosto che rincorrere effimere vampate "rivoluzionarie" di "contestazione globale" i radicali anche nel '68 si concentrano sulla lotta per il divorzio, individuata come la chiave che può far saltare il regime clericale, oltre che unificare alla base i simpatizzanti laici e di sinistra. In giugno Fortuna ripresenta nel nuovo Parlamento il suo progetto di legge, questa volta però firmato da oltre 60 deputati di Pci, Psi, Psiup e Pri. Poi c'è l'unificazione con la proposta Baslini del Pli. Ma bisognerà aspettare il '69 prima che la legge approdi in aula.

Alle politiche del '68 il Pr invita a votare scheda bianca per tre motivi: l'esclusione dalla Rai-tv dei partiti non rappresentati in Parlamento, l'appiattimento dei socialisti sulla collaborazione governativa con la Dc, e lo scarso impegno del Pci sul divorzio. L'associazione milanese, approfittando dell'autonomia sancita dallo statuto radicale, si presenta nella circoscrizione Milano-Pavia. Il risultato è misero: poco più di 1500 voti.

Sul fronte antimilitarista si replica la marcia estiva Milano-Vicenza. Per dare un'idea del clima di ostilità contro i pacifisti, ecco l'articolo che il Giornale di Bergamo pubblica il 28 luglio '68: "Hanno tenuto un discorso ieri pomeriggio in piazza Vittorio Veneto. Ancora i soliti concetti e ancora gli stessi capelloni, sempre più laceri e sporchi. Gli applausi si potevano contare, i fischi no. È difficile camminare per la pace. E lo hanno dimostrato ieri i pochi psiuppini e radicali che hanno fatto tappa a Bergamo in un tour pedestre che mira a raggiungere Vicenza. Erano pochi, una quindicina. Qualche bandiera rossa. Quel che certo non faceva difetto era la peluria: chiome e barbe incolte, nudità in bella vista e un immenso squallore, che ai più ha fatto compassione. Alcuni erano molto giovani, e in fondo dispiace che finiscano col passare le loro vacanze mettendosi in berlina, magari ignari di quanto stanno facendo".

Ma il grande evento dell'estate '68 è l'invasione della Cecoslovacchia. Pannella si mobilita subito. Manda una lettera a tutti i gruppi della nuova sinistra: "Inizieremo uno sciopero della fame a oltranza per chiedere lo sgombero totale delle truppe sovietiche dalla Cecoslovacchia. Intendiamo così anche sollecitare il passaggio all'azione del Pci, perché le note e positive dichiarazioni non divengano un alibi per non far nulla".

E il 28 agosto scrive su Notizie radicali: "Il Cremlino è divenuto "il castello" di Kafka: i dirigenti comunisti, che avevano fino a due anni fa proibito le opere del grande scrittore praghese, lo avranno certo sentito o pensato. Elsa Morante si è chiesta quando i giovani sovietici sapranno liberarsi di dirigenti così ignobili. È il nocciolo del problema. Con o senza stella rossa, gli eserciti sono destinati a combattere non nemici "esterni", ma il popolo".

In settembre Pannella passa all'azione. Ma soltanto Panorama, il nuovo settimanale fondato da Lamberto Sechi, gli dedica un articolo intitolato La resistenza alla guerra ha cambiato stile: "Marco Pannella, giornalista e fra i maggiori esponenti del partito radicale, non è nuovo alle contestazioni. La mattina del 21 agosto, solo poche ore dopo l'annuncio dell'invasione di Praga, era già con i suoi davanti all'ambasciata dell'Urss fasciato in un gran cartello sul quale era scritto "Tradimento contro Praga, tradimento contro il Vietnam". Poco più di un mese dopo, il pomeriggio del 24 settembre, era a Sofia a distribuire volantini contro l'invasione della Cecoslovacchia in una strada centrale, a due passi dall'albergo Balkan. Assieme a lui c'erano una professoressa di lettere di Roma, Silvana Leonardi, e due studenti, Marcello Baraghini e Antonio Azzolini. Erano andati in Bulgaria apposta, con una valigia piena di foglietti stampati in bulgaro, tedesco e russo. Il volantino, intitolato Proclama in nome dei vostri compagni cecoslovacchi, conteneva frasi di questo genere: "L'occupazione di Praga è un colpo terribile per il futuro del socialismo nel vostro Paese"".

Continua Panorama: "Arrestati e interrogati a lungo dalla polizia, Pannella e i suoi amici sono stati rilasciati dopo circa 30 ore, quando il controspionaggio bulgaro ha accertato che si trattava di appartenenti all'organizzazione pacifista "War resisters International". Intanto altre undici persone di questa organizzazione compivano altre imprese del genere a Varsavia, Mosca e Budapest. La War resisters è una vecchia organizzazione che già negli anni '30 si batteva per l'obiezione di coscienza". In Italia solidarizzano con questo gesto di Pannella, fra gli altri, Capitini, Parri e Danilo Dolci.

Da Sofia Pannella manda una cartolina in francese a sua madre: "Cara mamma, devo comportarmi come mi detta la mia coscienza. La mia pena è che tu soffra non per le mie debolezze, ma per la mia forza". Il leader radicale si prenderà una piccola rivincita personale sulla Bulgaria un quarto di secolo dopo: nel '93, infatti, il congresso del Pr si svolge proprio a Sofia.

Al congresso radicale di Ravenna, nel novembre '68, Mauro Mellini succede a Spadaccia come segretario, e Angiolo Bandinelli ad Andrea Torelli come tesoriere. Il partito ribadisce il suo impegno contro "lo strapotere clericale" della Dc, e chiede un referendum contro il Concordato.
Capitolo 9 - 1969
SCIOPERO DELLA FAME

Nel gennaio '69 a Roma, di fronte al "Palazzaccio" di giustizia in piazza Cavour, i radicali organizzano una "controinaugurazione" dell'anno giudiziario. Sono invitati giudici e avvocati, ma soprattutto semplici cittadini danneggiati dalla giustizia. Nasce cosi l'impegno del Pr su questo fronte, che culminerà negli anni '70 e '80 con vari referendum e con i casi 7 aprile e Tortora. "Il problema della giustizia in Italia non è un problema tecnico", sostengono i radicali, "ma riguarda i diritti civili dei cittadini di seconda classe in un regime paternalistico, baronale, consumistico e clericale". Gli avvocati Mellini (segretario del partito) e Giuseppe Ramadori fondano il gruppo "Rivolta giudiziaria".

Pannella fa controinformazione sul caso di Aldo Braibanti, un intellettuale condannato a nove anni per plagio, ed emarginato perché anarchico e omosessuale. Il leader radicale, assieme a Loteta e Mario Signorino (direttore del settimanale Astrolabio), viene incriminato per diffamazione contro i giudici: "Ho mosso loro accuse gravi", si difende, "ma sempre precise e motivate, e non furbescamente evocate con quel malcostume del dire non dicendo, dell'uso accorto e inflazionato del condizionale e della negazione retorica, che sono la regola del nostro giornalismo prostituito cui siamo abituati, anche se non rassegnati". Pasolini, la Morante, Franco Fortini e Piergiorgio Bellocchio (direttore di Quaderni piacentini) solidarizzano con Pannella.

Nel febbraio '69 Carlo Oliva, che per quattro anni aveva organizzato il Pr a Milano, lascia il partito criticando il metodo delle "single issues": "Una singola lotta è incapace di individuare una strategia politica: occorrono più lotte su obiettivi diversi". Invece i radicali, sostiene Oliva, passano da una questione all'altra "come una libellula". E al congresso di novembre, che si tiene proprio a Milano, quasi tutto il gruppo milanese (il secondo per importanza dopo quello romano) lascia il Pr: Oliva va in Lotta Continua, Felice Accame nel Mpl, Luca Boneschi nel Movimento studentesco di Mario Capanna come consulente legale.

Al congresso di Milano partecipano appena 31 iscritti. Bandinelli prende il posto di Mellini alla segreteria, e come tesoriere viene eletto il 23enne Roberto Cicciomessere, un antimilitarista figlio di un alto ufficiale dell'esercito. Ma quelli sono anche i giorni decisivi per il divorzio. Tornati a Roma, Pannella e Cicciomessere il 10 novembre '69 si piazzano di fronte a Montecitorio e cominciano uno sciopero della fame, finché non ottengono dalla Dc l'impegno a una votazione entro la fine del mese. È chiaro infatti che i democristiani fanno ostruzionismo contro il divorzio: la legge Fortuna-Baslini è in discussione in aula già da maggio, ma nonostante le manifestazioni della Lid in piazza Navona il dibattito procede a rilento.

"Sandro Pertini, allora presidente della Camera, aveva paura che il nostro sciopero intaccasse l'immagine del Parlamento", ricorda Pannella. "Io entravo con i permessi di visitatore nel Transatlantico di Montecitorio, ma un giorno Pertini si arrabbiò. Qualche tempo dopo lui era in visita a Milano, anch'io ero lì, ma non sapevo se era ancora adirato con me. Mandai avanti Enzo Tortora, anche allora mio amico, con una lettera. Pertini è fra la gente, apre la busta, comincia a leggere e sbotta: "Questo è quel delinquente di Marco!"".

Venerdì 28 novembre '69 tutte le parrocchie di Roma organizzano una veglia di preghiera contro il divorzio. Malgrado ciò, la notte successiva i deputati approvano la legge Fortuna-Baslini: 325 voti a favore, 283 contrari. Davanti alla Camera i radicali hanno organizzato un sit-in con centinaia di persone. Nello stesso giorno Roma era stata invasa da un grande corteo sindacale dell'autunno caldo. C'era la sensazione, anche fisica, che le cose stessero cambiando. Quando Loris Fortuna esce dal Palazzo viene accolto da grida di giubilo: "Stato laico!", "Parlamento sì, Vaticano no!".

Il giorno seguente Pannella annuncia: "Dopo il sì al divorzio è l'ora del no al Concordato". Vuole battere il ferro finché è caldo, al contrario di tutti gli altri politici di sinistra ancora increduli e quasi intimoriti per la batosta inferta alla Dc. Ma il cammino per il divorzio sarà ancora lungo: la legge dev'essere approvata anche dal Senato. E pochi giorni dopo, il 12 dicembre '69, a piazza Fontana c’è la prima strage: inizia la strategia della tensione.

Nel '69 Pannella partecipa anche, per il terzo anno, alla marcia antimilitarista Milano-Vicenza. La sera del 4 agosto in piazza dei Signori, a Vicenza, tiene il comizio conclusivo: "Il signor questore, intervenendo sui partecipanti alla marcia che manifestavano pacificamente di fronte alla caserma americana Ederle, si è dato premura ancora una volta di mostrarci il volto di uno Stato becero e ottuso. Ma i marciatori, fermati e denunciati, sono qui ora tra voi tranquilli e sereni al termine di questi dieci giorni di marcia, in cui hanno voluto dare una testimonianza di pace e fare una diretta e personale azione politica".

Al primo congresso nazionale antimilitarista a Milano, il 4 novembre, Pannella nella sua relazione avverte: "I due terzi dei paesi rappresentati all'Onu e i quattro quinti di quelli in via di sviluppo sono retti da regimi militari. Il militarismo non è folklore: è una candidatura seria alla gestione della società contemporanea".
Capitolo 10 - 1970
IL DIVORZIO

Nel gennaio '70 Massimo Teodori, di ritorno dagli Stati Uniti, tiene alla Casa della cultura di Roma una conversazione sul nuovo femminismo in America. Dopo un seminario, in marzo nasce il Movimento di liberazione della donna (Mld), culla del femminismo italiano.

In febbraio nasce la Loc (Lega obiettori di coscienza) per iniziativa dei radicali, del senatore pci Luigi Anderlini, del valdese Giorgio Peyrot, del gruppo cristiano Mir (Movimento internazionale di riconciliazione), e del Movimento nonviolento di Pietro Pinna. Lotta Continua non aderisce, perché a suo avviso "l'obiezione resta un fatto esemplare-dimostrativo più che politico". Anderlini, seguito dai dc Luigi Marcora e Carlo Fracanzani, presenta una proposta di legge per legalizzare l'obiezione.

Sia la Loc che l'Mld si federano al Pr. Sul modello della Lid sorgono così leghe che, secondo i radicali, devono occuparsi di problemi specifici senza addossare tutto sul partito-mamma, gramscianamente "egemonizzante" secondo il modello del Pci, che mette il cappello su tutti i movimenti spontanei della società.

Nel marzo '70, intanto, il presidente del Consiglio dc Mariano Rumor apre una crisi di governo piuttosto che firmare la legge sul divorzio. Dopo una lunga trattativa con i partiti laici, la Dc dà il via libera al divorzio in Senato in cambio della possibilità di sottoporre la legge Fortuna-Baslini a referendum. Occorre quindi una legge per regolamentare il referendum, istituto previsto dalla Costituzione ma mai attuato: altri mesi di ritardo.

"Bastava che tacessimo per qualche settimana, che il divorzio sembrava divenire d'un tratto storia dell'altro mondo, e non di oggi, in Italia", si lamenta Pannella sull'Astrolabio nell'agosto '70. "Non più un comizio, un passo avanti, un cenno: sembravano Penelope". Perfino gli amici dell'Espresso snobbano il "Gandhi di via Veneto", come l'Unità bolla crudelmente Pannella: bloccano un suo articolo sul divorzio per due mesi, e quando infine lo pubblicano sostituiscono le parole "clericale" con "dc" e "anticlericale" con "laico".

In ottobre la legge riesce a passare in Senato, ma soltanto con emendamenti restrittivi del divorzio (tempi più lunghi, costi più alti) contrattati dal dc Giovanni Leone. Così la legge deve tornare alla Camera. In novembre, per tre volte, Pannella, Cicciomessere e Bandinelli vanno di fronte alla sede romana del Msi, in via Quattro Fontane, a protestare contro l'ostruzionismo missino. "Siete col Borghese (settimanale divorzista di destra, nda) o mazzieri del papa?", accusano i cartelli radicali. Decine di poliziotti presidiano la sede missina con bombe lacrimogene, per evitare ogni contatto fra neofascisti e radicali. Scrive il Messaggero: "I missini lanciano insulti di natura sessuale contro quelli della Lid e minacciano di far piazza pulita di tutti. Pannella dice a un commissario: "Lei sta proteggendo dei teppisti che minacciano violenza contro cittadini i quali hanno il diritto di manifestare pacificamente"". Dodici anni dopo Pannella verrà applaudito a un congresso del Msi.

Nella notte del 30 novembre '70, dopo una seduta a oltranza, il divorzio diventa legge della Repubblica. "Esultiamo per questa vittoria del laicismo anticlericale", dichiara subito Pannella alle agenzie, "ma non è che un inizio. La politica dei diritti civili esce potenziata da questa prova". Niente di più lontano da quel che pensa invece il Pci, il più grosso partito laico: "Auspico che si superino i contrasti e che si ritrovi un'unità col mondo cattolico", dichiara Nilde Iotti. E il vicesegretario pci Enrico Berlinguer sull' Unità condanna "le storture, le esasperazioni settarie e le irresponsabili provocazioni di gruppi anticlericali", cioè della Lid di Pannella.

"Non temiamo gli attacchi contro noi "leghisti" laici", replica il leader radicale. "Come in passato, dovremo per prima cosa mettere il morso a bestie di casa nostra, che stanno dando in pericolose smanie. Cinquemila apparatchnik del Pci non sono gli otto milioni di voti comunisti. Non abbiamo bisogno di veder rinnovare lo sfacelo della Fgci negli anni '50 (di cui Berlinguer era segretario, nda) quando, postosi l’obiettivo di 500mila iscritti, si trovò in due o tre anni a 200mila: ricordi Berlinguer questo esempio che lo riguarda così da vicino. Abituati a perdere e a contrattare, Berlinguer e Malagodi hanno paura di essere vincenti e fretta di svendere questa affermazione. Sono burocrati paralleli del potere".

I cattolici chiederanno adesso un referendum sul divorzio? "Non dispiaccia al professor Luzzatto Fegiz, presidente della Doxa, e alla sua testarda manipolazione statistica (che dava gli antidivorzisti vincenti, nda), ma s'annuncia un vero massacro per i clericali", risponde Pannella, che tesse l'elogio della Lid: "Per cinque anni abbiano seguito, giorno dopo giorno, l'itinerario parlamentare della legge Fortuna. Abbiamo studiato a fondo i meccanismi delle Camere, i regolamenti, le difficoltà che sorgevano continuamente. È stata un'attenzione collettiva, popolare: a centinaia di migliaia di copie, ogni volta, i nostri bollettini illustravano questa realtà per iniziati; la laicizzavamo, ne facevamo partecipi masse sempre più estese di cittadini spesso provenienti dai ceti più lontani dall'impegno democratico, o più esclusi dalla cultura dominante".

Il settimanale Abc cavalcando il divorzio passa da 100 a 500mila copie. Il partito radicale invece, come sempre, non riesce a far tesoro delle proprie vittorie. È ancora gracilissimo: al congresso di Napoli, nel novembre '70 (in cui Cicciomessere diventa segretario e Pannella tesoriere), partecipano soltanto 80 iscritti. È anche a causa di questa debolezza, oltre che per ringraziare i socialisti dell'impegno sul divorzio, che alle elezioni regionali del '70 (importanti, perché le regioni sono appena nate) il Pr decide di appoggiare il Psi. In cambio, ottiene la promessa socialista di approvare anche l'obiezione di coscienza e di raccogliere 500mila firme per un referendum contro il Concordato.

"Il Psi non è ancora un partito di potere, anche se lo è — per ora— di governo", concede Pannella. E si spinge oltre: "Votare Psi è oggi il solo modo possibile di votare radicale. È la più rossa delle schede. Il diritto all'obiezione di coscienza, dopo 22 anni di attesa e di solitaria predicazione radicale, sarà imposto in Parlamento dal Psi. La vergogna della prigione per gli obiettori verrà cancellata. Sarà battuta la proterva volontà di un incontro di potere con la Dc dell'attuale gruppo dirigente comunista. Un primo colpo sarà portato al racket del suffragio universale organizzato dal peronismo fanfaniano e dai suoi clienti e sicari di destra e sinistra, grazie all'infeudamento della Rai. In questo periodo il Psi è stato determinante per approvare lo Statuto dei lavoratori, l'amnistia, le Regioni. I socialisti hanno espulso dal proprio seno la destra peggiore, il gruppo di Tanassi, Ferri e Preti. Il Pci ha invece annientato la sua sinistra, quella del Manifesto. Quanto alla cosiddetta "nuova" sinistra degli operaisti e marxisti-leninisti, essa è paleolitica".

L'intemerata di Pannella non risparmia l'Emilia-Romagna, vanto del Pci in quelle prime elezioni regionali: "Il "modello" emiliano? Lì le piccole e medie industrie hanno solidi legami col Pci. Le banche sono a mezzadria fra comunisti e democristiani. Le cooperative vengono ridotte a macchine sforna-profitti per il partito. Le associazioni del tempo libero sono controllate nelle loro attività culturali per impedirne ogni iniziativa che rischi di turbare i colloqui vaticani e di curia. Il Pci gestisce indirettamente ma sicuramente, con il sindacato, l'immenso bordello del parastato e del capitalismo di Stato".

"The mouse that roars", il topo che ruggisce (come l'Economist definirà Pannella), riversa questi toni accesi nei comizi che tiene in favore del Psi. Ecco la cronaca che lui stesso scriverà, sull'Espresso nel '75, dell'ultima sera di campagna elettorale del '70 a Santa Maria di Castellabate, sul golfo di Salerno: "In piazza c'erano pescatori torti dall'artrite come ulivi tormentati, anziane donne rugose coperte tutte di nero, madri più giovani, ragazze sole e inquiete. Eravamo sul pericolante palchetto rosso, appena giunti da altri comizi, Lino Jannuzzi (allora senatore psi, nda) e io, fra candidati e notabili locali. Mi avevano raccomandato prudenza. Mentre mi "presentavano" a questa gente umile e povera, con retorica ed enfasi da circo, con lo squallore dell'alienazione politica e delle sue parole grottesche e consunte, avrei voluto andar via: quello non era il mio posto".

Continua Pannella: "C'era un muro di volti immobili, duri, scavati, fatto di estraneità, di antico, disperato e confermato rifiuto. Era troppo tardi per rinunciare a parlare. Così tenni il primo comizio interamente dedicato al divorzio, all'aborto, al sesso, alla liberazione della donna. Mentre parlavo avvertii con pressante chiarezza qualcosa che da allora ho spesso cercato di esprimere. Viviamo in un tempo nel quale non di rado "agorà" ed "ecclesia', piazza e assemblea di preghiera, coincidono. Il silenzio era surreale, religioso. Le parole cadevano come pietre. Ma quando terminai mi trovai strette attorno, silenziose, le vecchie donne in nero. Ricordo le loro carezze, le mani che si alzavano lente, come per una benedizione, ritrovate mani contadine della mia infanzia abruzzese, e mi porto dietro la loro scarna e dolce esortazione: " Grazie, figlio !"".

In estate, marcia antimilitarista Milano-Vicenza. "Per la quarta volta sullo stesso percorso, perché?", scrive il settimanale giovanile Ciao 2001. "La prima volta gli "Andeé a laurà, barbun" si sprecavano quando passava la corte dei miracoli dei marciatori stanchi, sudati e sporchi, con i cartelli al collo. I benpensanti di provincia non avevano il coraggio nemmeno di contestarci tanto eravamo lontani da ogni buona regola per fare politica. Obiezione di coscienza? Disarmo unilaterale? Esercito uguale repressione? Diritti civili ai militari? Che roba è?".

Continua Ciao 2001: "Negli anni successivi, ritornando negli stessi luoghi, fra — presumibilmente — le stesse persone, le cose sono cambiate. Coloro che avevano fatto la guerra o non la volevano fare affatto capivano perfettamente, anche se eravamo così strani: "Passare le vacanze in questo modo, che bravi ragazzi!" I contadini ci offrivano frutta e uova, nelle città c'era sempre qualcuno disposto a ospitarci".

Nel '70 appare su un giornale nazionale la prima intervista-ritratto di Pannella. Lo "scopritore" è Virgilio Crocco del Messaggero, ex marito di Mina e padre di Benedetta Mazzini. Lo scapolo che vive per farci avere il divorzio, è il titolo dell'articolo. "Vivo programmaticamente di espedienti", confessa il "frate laico" (come Arrigo Benedetti ha definito Pannella) a Crocco. Conferma l'allora segretario radicale Bandinelli: "Per anni gli abbiamo dato soldi e tutto quello che potevamo. Lui stesso ha scritto: "Ho vissuto con l'onorevole mendicità dei laici". Lo costringevamo a farsi un vestito nuovo mandandolo dal nostro sarto. Lui non ha molte esigenze. Anche a tavola: è un formidabile mangiatore di pastasciutta, ma la carne non gli piace. È un divertimento vederlo preparare una spaghettata per gli amici".

Racconta Pannella: "Quando l'ho voluto, ho vissuto bene. Ho abitato a Parigi in place des Vosges, a Roma in un attico di palazzo Taverna. Poi ho capito che non ne valeva la pena, e ho imparato a vivere con le cose essenziali. Oggi la mia spesa più grossa sono le sigarette: tre pacchetti al giorno". Questo quarantenne strampalato che vive in via Collalto Sabino al quartiere Vescovio, che si sussurra sia fidanzato con la figlia del segretario psi Giacomo Mancini, e che si batte come un leone contro politici di professione e burocrati di partito, è paradossalmente lui stesso uno dei pochissimi radicali che fa politica a tempo pieno. Fra i dirigenti del Pr è un'eccezione: tutti gli altri infatti esercitano un mestiere, dal giornalista Spadaccia all'avvocato Mellini, dal professore Bandinelli al magistrato Silvio Pergameno, dal dirigente Iri Stanzani al docente universitario Teodori.

Pannella è giornalista professionista, e ha la penna brillante anche se un po' sovrabbondante. Ma nel '63 ha fatto una scelta precisa, e da allora detesta la "corporazione dei giornalisti". Nel '64 solo il Pr protesta contro la legge istitutiva dell'Ordine dei giornalisti. Negli anni '70 e poi nel ‘97 tenta di abrogarla con un referendum: "Soltanto all'Est per scrivere sui giornali bisogna essere iscritti a un Albo", ricordano i radicali, riecheggiando le posizioni di Luigi Einaudi e Umberto Terracini.

Nell'ottobre '70 Pannella accetta di fare il direttore responsabile del quindicinale Lotta Continua, perché la legge impedisce a chi non è giornalista professionista di dirigere un giornale. Una scelta che gli procurerà qualche guaio l'anno seguente.